Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Bebe e Zanardi, protesi e handbike al museo. «Simbolo del riscatto»
Il Musme: «La medicina è alleata dello sport»
La schermitrice veneziana Bebe Vio e il pilota padovano Alex Zanardi da lunedì finiranno nelle teche del Musme, il museo di storia della medicina che ha sede a Padova e che ora si arricchisce di una nuova importante installazione dedicata a sport, tecnologia e disabilità.
L’abilità col fioretto, la potenza della handbike, la velocità del corpo. E, su tutto, una tecnologia che può essere applicata alla medicina, in grado di fornire gli strumenti necessari a chi non vuole arrendersi di fronte alle avversità della vita.
Così, la schermitrice veneziana Bebe Vio e il pilota padovano Alex Zanardi da lunedì finiranno nelle teche del Musme, il museo di storia della medicina che ha sede a Padova e che ora si arricchisce di una nuova importante installazione dedicata a sport, tecnologia e disabilità. E accanto a loro, ci sarà anche la velocista lombarda Martina Caironi.
Ad accomunare i tre sportivi, finora c’era «soltanto» il fatto che hanno subito, per motivi diversi, l’amputazione degli arti. Bebe Vio a causa dell’infezione seguita a una meningite fulminante che l’ha colpita da bambina; Zanardi perse entrambe le gambe in seguito allo spaventoso schianto del 2001 sul circuito tedesco del Lausitzring; mentre Caironi si vide amputare la gamba sinistra dopo un incidente in moto avvenuto nel 2007.
Gli atleti ora hanno messo a disposizione del Musme i supporti con i quali hanno vinto competizioni di livello mondiale: la gamba con cui Martina si è sempre allenata per diventare la donna con protesi più veloce al mondo; il braccio usato da Bebe sia nel corso degli allenamenti che nelle gare - dal gennaio 2010, dopo la malattia, ai Mondiali di Budapest dell’ottobre 2013 - e la handbike con cui Alex ha vinto l’oro alle Olimpiadi di Londra nel 2012.
Accanto ai tre oggetti-simbolo, nella parete del museo della medicina saranno esposte le video testimonianze dei protagonisti che raccontano la loro esperienza.
«Lo sport, grazie anche alla testimonianza di questi atleti paralimpici, rappresenta l’antidoto all’apatia e all’isolamento, lo strumento migliore per una riabilitazione fisica e psicologica, che ridà pasco sione e fiducia e favorisce il confronto con gli altri», spiegano dalla Fondazione Musme, diretta da Francesco Peghin.
Il messaggio è chiaro: lo sport come medicina per affrontare situazioni difficili, spesso in condizioni di estrema fragilità. «Quando mi sono risvegliato senza gambe ricorda Alex Zanardi - ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa. È stato questo a permettermi di iniziare a trasformare quanto era accaduto in un’opportunità».
Il progetto, che oltre agli sportivi ha coinvolto l’università di Padova e parte del Comitato scientifico museale, sottolinea l’importanza del progresso medico-tecnologi- nel campo delle protesi per disabili, con la speranza di renderle sempre più accessibili a tutti. Perché anche Bebe Vio, ammette che «da amputata non sapevo che avrei potuto riprendere a fare sport: gli amputati non sanno di avere queste possibilità».
Dietro i successi di Zanardi, Vio e Caironi ci sono (anche) una schiera di specialisti che ogni giorno sviluppa e porta avanti delle ricerche per il miglioramento della vita di tutti coloro che si trovano in condizioni di disagio. «Il lavoro di creazione di questi dispositivi richiede la condivisione di competenze relative al mondo della fisica, della chimica, della biologia, dell’ingegneria, della medicina e della psicologia…», spiegano Laura Nota, professore associato di Psicologia dello sviluppo, e Arturo Natali, docente di Bioingegneria Industriale. «Dietro a una protesi si nascondono ore di analisi sperimentale e computazionale al fine di perseguire un risultato ogni volta migliore, per ridare a una persona funzionalità che potevano sembrare irrimediabilmente perdute».