Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Azienda in fiamme per nascondere la truffa Imprenditori arrestati
Padova, due in manette: per gli inquirenti appiccarono fuoco alla ditta per coprire un maxi raggiro alle banche
Acquistavano società ormai fallite, falsificavano i bilanci rendendoli floridi, chiedevano prestiti alle banche e facevano sparire il denaro incassato. Sono finiti in manette Mauro Callegari, 60enne originario di Codigoro nel ferrarese ma domiciliato a Padova e Maurizio Lucchesi, 68enne di Forlì, al termine di una complessa indagine coordinata dalla Procura della Repubblica del capoluogo euganeo e condotta dai carabinieri della compagnia di Abano Terme insieme alla guardia di finanza di Padova.
I due imprenditori, ora in carcere, sono accusati di truffa continuata e bancarotta fraudolenta. Ingente il giro di denaro che ha toccato gli 1,5 milioni di euro. Per gli stessi reati sono indagate altre sette persone, tra cui un 44enne romano, una polacca di 50 anni, due piovesi di 49 e 41 anni, una moldava di 41 anni, un inglese di 52 anni, oltre a Giuseppe Cherobin, balzato agli onori delle cronache a inizio anno per il rogo che ha distrutto la sua azienda. Le indagini sono partite dall’incendio nella ditta «Emmev srl» di proprietà di quest’ultimo e che produceva materiale per pavimenti, scoppiato l’8 gennaio a Bagnoli, nel Padovano.
La stranezza? Nel rogo del capannone i vigili del fuoco avevano trovato computer e documenti spostati dall’ufficio. «Non sappiamo nulla — aveva raccontato quel giorno Cherobin — produciamo pavimentazione sopraelevata, forse è un’intimazione». Da questo episodio i carabinieri e le fiamme gialle sono riusciti a ricostruire il modus operandi del gruppo attivo già dal 2014. Callegari e Lucchesi acquistavano a prezzi irrisori società ormai fallite o inattive, grazie ad alcuni prestanome compravano immobili per la sede e le facevano figurare come floride tramite bilanci falsificati che venivano depositati alla Camera di Commercio. Oltre alla «Emmev» i due hanno utilizzato lo stesso metodo con altre due società ormai in disuso. I bilanci artefatti e la documentazione falsata permettevano al sodalizio di chiedere fidi bancari, erogati poi senza particolari intoppi. Almeno dieci gli istituti di credito presi di mira in varie filiali: la Popolare di Bari per 260mila euro, il Monte dei Paschi di Siena per 230mila euro, la Popolare di Vicenza per 260mila euro, il Credito Emiliano per 170mila euro, la Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna per 350mila euro, la Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana per 210mila euro, la B.C.C. di Piove di Sacco per 200mila euro, la Banca delle Marche per 290mila euro e la Popolare di Ancona per 150mila euro, oltre alla Banca Finint.
A cadere nella trappola i direttori delle banche, traditi dai documenti sistemati ad hoc per dimostrare ottimi indici patrimoniali e finanziari. Una volta erogati i prestiti, i due erano capaci di reinvestire il denaro e svuotare i conti correnti delle stesse società fittizie, esportando i capitali poco alla volta. Quando gli istituti di credito chiedevano conto dei finanziamenti, trovavano fallite le società a cui avevano erogato i prestiti. Le prossime indagini serviranno per comprendere se questi soldi siano stati spostati su conti all’estero. In particolare Lucchesi più volte ha utilizzato banche di San Marino. Come scrive il gip nell’ordinanza, i due avevano preso questa strada «come scelta di vita», un boomerang che gli si è ritorto contro quando qualcosa è andato storto nell’incendio della «Emmev».