Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Mose, la disfida delle paratoie Un sensore stabilirà se funzionano
” Con mare mosso e onde a raffica le paratoie del Mose diventano totalmente inutili. Questa, almeno, è la teoria dei comitati e dei tecnici contrari all’opera in Laguna. «Sono instabili» sostiene Armando Danella, storico anti-mose. Dubbi sui quali il provveditore Roberto Linetti (foto) e i commissari del Consorzio Venezia Nuova vogliono fare definitivamente luce: «Serve una risposta definitiva, basata non più sui modelli ma sulle paratoie esistenti» spiegano. Le reazioni alle onde saranno ora esaminate.
I comitati e i tecnici anti-mose, la spiegano così: con mare mosso e onde a raffica, le paratoie ballerebbero così tanto da diventare inutili. Negli spazi tra una diga e l’altra, invece di restare fuori dalla laguna e lontana da Venezia, l’acqua alta entrerebbe e allagherebbe la città, vanificando 5 miliardi e mezzo spesi dallo Stato per un’opera avviata 15 anni fa e che ancora non riesce a vedere la fine. Si chiama «risonanza» e ora che i lavori del Mose sono arrivati al 94 per cento è l’ultima arma degli oppositori. Se ne parla da fine anni Novanta, ma è l’ennesimo dubbio sul fatto che, dopo gli anni e i miliardi di cui sopra, il Mose possa funzionare, quando sarà finito, per non diventare una delle più imponenti «cattedrali del deserto» italiane, già segnata dallo scandalo delle tangenti.
«Le paratoie sono instabili», dice Armando Danella, storico esperto anti-mose, che si rifà allo studio della società Principia di dieci anni fa. Proprio per questo il provveditore Roberto Linetti e i commissari del Consorzio Venezia Nuova Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola hanno deciso di dare una svolta. «Serve una risposta definitiva alle critiche spiega Linetti - E lo faremo non più sui modelli, ma sulle paratoie esistenti». Il Provveditorato ha incaricato le università di Padova e Cassino di studiare le reazioni reali delle paratoie alle onde. Il Consorzio ha investito più di mezzo milione e a gennaio 2019 verranno installati inclinometri e accelerometri su ogni «porta». In realtà lo stesso Ossola, alla Camera a fine luglio, aveva sminuito il problema, affermando che si può contrastare l’«ordine» della risonanza (che si crea con un’onda regolare), creando «disordine». «Per esempio modificando gli angoli delle paratoie», aveva spiegato.
Perché il Mose è stretto da sempre in una bipolarità insanabile. Da un lato è un’opera di alta ingegneria idraulica e subacquea, che dovrà difendere la città più fragile del mondo dall’attacco di quell’acqua che è la sua forza ma anche la sua debolezza, come ha dimostrato l’«aqua granda» di 52 anni fa. Ma al netto degli inevitabili scontri tra esperti, molti dei quali aveva ipotizzato soluzioni diverse, è la stessa natura di prototipo a rendere il suo funzionamento una sorta di scommessa: non ce n’è un altro al mondo. Gli arresti del 2014 e l’arrivo dei commissari hanno scoperchiato una serie di «magagne», con lavori fatti male e da ripristinare. In un documento dei commissari si parlava di 84 milioni di euro per le riparazioni: dagli 8,5 milioni per sistemare il jack-up (la nave per installare le paratoie) ai 12,5 per gli impianti danneggiati da una mareggiata, dai 28 per risolvere i problemi delle porte della conca di navigazione di Malamocco ai 19 per sostituire gli elementi corrosi prima del previsto.
«I soldi ci sono per questo», ha ribadito Linetti mercoledì alla Camera. Il provveditore ha però anche messo in guardia dal rischio di un’opera che ha alcuni elementi sotto acqua già da anni. «Rischia di diventare prioritaria la manutenzione rispetto alla chiusura dell’opera», ha spiegato. Proprio sulla manutenzione è peraltro in corso una nuova protesta in città: il progetto iniziale prevedeva che l’arsenale diventasse l’«officina» del Mose, ma i comitati sono contrari e chiedono che la pulizia delle paratoie avvenga a Marghera. Linetti ha detto che lo valuterà e ieri il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli è stato in visita all’arsenale con Ossola e la soprintendente Emanuele Carpani. Ossola ha illustrato al ministro i piani, ma varie associazioni ambientaliste l’hanno contestato, chiedendo «l’arsenale alla città». «Vogliamo un progetto di rilancio della cantieristica locale e di imprese dell’innovazione capaci di dare lavoro a imprese e artigiani locali», spiegano.