Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Intesta tutto alla moglie, ma Borile deve pagare
I giudici annullano la cessione dei beni per evitare il risarcimento di Padova Tre
La Corte dei Conti ha stabilito che gli atti con i quali Simone Borile (ex direttore di Padova Tre) e Stefano Chinaglia (ex presidente di Padova tre) si erano «liberati» dei loro beni personali cedendoli uno alla moglie (Borile) e l’altro alla ex moglie (Chinaglia) sono inefficaci, perché fatti successivamente alle inchieste giudiziarie che li hanno coinvolti, ed eseguiti con il chiaro obiettivo di non essere aggredibili economicamente in fase di risarcimento. Pertanto le case, gli appartamenti, i terreni che in teoria potevano essere sottratti al conteggio per la restituzione relativa alla mala-gestio della società Padova Tre, ritornano nella disponibilità dei due ex manager. La sentenza giunge ora, dopo che nel maggio scorso la procura aveva chiesto la revocatoria degli atti notarili con cui i due si erano spogliati dei loro beni.
Fra tutte le funamboliche imprese che hanno portato la società di Este che doveva occuparsi della raccolta rifiuti al dissesto finanziario, ce n’è una che pesa più di tutti, ovvero il debito di 3 milioni e mezzo di euro che Padova Tre doveva versare alla Provincia come quota parte delle bollette. Ma la Provincia non ha mai
Pochi euro Borile e Chinaglia si erano spogliati di tutti i beni
Redditi bassi Borile e Chinaglia hanno dichiarato circa 20 mila euro
visto quei soldi. E ora qualcuno glieli dovrà restituire.
Quelli deputati a farlo sono Simone Borile (peraltro già nei guai per la vicenda dei profughi), Stefano Chinaglia ed Egidio Vanzetto, rispettivamente direttore, presidente e consigliere della società finita nel dissesto. La Corte dei Conti aveva quindi proceduto non solo a un sequestro conservativo, ma anche alla revocatoria, ovvero il recupero di tutto il patrimonio che si ritiene collegato alla gestione di Padova Tre ma che sarebbe stato disperso fra le proprietà dei tre. In entrambe le sentenze i magistrati contabili scrivono apertamente che entrambi i manager «non potevano non sapere» che il dissesto della società era a loro attribuibile e quindi tutto quello che hanno fatto dopo non può avere, come prevede la legge, alcuna valenza. Se a questo si aggiunge che il reddito dichiarato all’epoca (2016) da Borile e Chinaglia era rispettivamente di 19mila e 20mila euro, è chiaro che per rivalersi sulle loro proprietà la procura ha dovuto ricorrere sulla cessione di case in montagna ed altri beni ceduti alle mogli ed ex mogli