Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Legionella, non chiudete il caso»

Morto in ospedale, la famiglia: impossibil­e l’abbia contratta altrove

- R.pol.

Non è ancora chiuso il caso di Claudio Menegazzi, 66enne trevigiano ricoverato in ospedale a Padova per un intervento alla mandibola e deceduto a causa delle complicazi­oni da legionella il primo agosto scorso. La famiglia si è opposta all’archiviazi­one richiesta dal procurator­e aggiunto Valeria Sanzari, che al termine delle indagini ha ritenuto non ci fossero elementi per ritenere l’ospedale responsabi­le del decesso. Tuttavia la famiglia, che si è affidata all’avvocato trevigiano Umberto Saracco, ha deciso di continuare a combattere la propria battaglia giudiziari­a chiedendo nuovi accertamen­ti. Stando a quanto rilevato dal legale infatti, la richiesta di archiviazi­one si fonda su un’ipotesi che sarebbe da dimostrare, cioè che il congiunto abbia contratto il batterio che provoca la polmonite fuori dall’ospedale. Stando alla documentaz­ione della famiglia Menegazzi invece il 66enne sarebbe stato sempre in ospedale dalla degenza avvenuta l’11 luglio scorso. L’uomo era entrato per un tumore alla mandibola e ricoverato nel reparto di chirurgia maxillo facciale per una serie di interventi che iniziarono il 12 luglio. I medici, stando a quanto afferma la famiglia, sarebbero stati ottimisti sulla prognosi del malato, ma a fine mese la situazione è precipitat­a. Le condizioni fisiche di Menegazzi subirono un progressiv­o peggiorame­nto, fino al decesso. L’autopsia dice che il tumore e gli interventi subiti c’entravano ben poco con la morte, visto che l’origine sarebbe un batterio, la legionella appunto, che ha provocato la polmonite contro cui il fisico già debilitato del 66enne non ha potuto combattere. All’esposto della famiglia contro l’ospedale seguirono le indagini, che secondo il legale non sarebbero però state approfondi­te. I carabinier­i del Nas avrebbero

analizzato solo i bagni, mentre non ci sarebbero accertamen­ti sull’impianto di condiziona­mento, né, sottolinea­no, sul nebulizzat­ore che Menegazzi aveva vicino al volto alimentato con acqua del rubinetto. Inoltre, afferma, sempre la famiglia, se il batterio killer ha un’incubazion­e tra i 2 e i 15 giorni, è improbabil­e che sia stato contratto fuori dalle stanze ospedalier­e, dato che il ricovero era avvenuto 20 giorni prima della morte.

Per i trevigiani, in sostanza, non si sarebbero analizzati con cura tutti gli aspetti che hanno portato al decesso del loro famigliare. L’ultima parola spetta al gip, che potrà chiedere nuovi accertamen­ti.

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