Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Pasta Zara, l’offerta industrial­e vuole comprare il sito di Muggia

Quattro soluzioni: le tre finanziari­e di Pillarston­e-finint, Jp Morgan e Cheyne

- Federico Nicoletti

Tre offerte finanziari­e: a fianco di Pillarston­e-finint, quelle di Jp Morganone3­3 e di Cheyne Capital. E poi un’offerta industrial­e, ancora coperta. Che ruota intorno all’acquisto dello stabilimen­to triestino di Muggia e poi su lavorazion­i in comune. C’è qualche tassello in più che aiuta a capire il quadro delle proposte alternativ­e in campo per risolvere la crisi di Pasta Zara, l’azienda trevigiana della pasta secca finita in concordato preventivo sotto il peso di 240 milioni di debiti del gruppo industrial­e, ai quali si aggiungono i 50 della holding della famiglia Bragagnolo, la Ffauf. Tempo per definire una soluzione ne è rimasto poco, visto che entro il 7 dicembre il Tribunale di Treviso attende il piano per chiudere il concordato in bianco.

E l’altro ieri i piani degli investitor­i fattisi avanti sono stati svelati nelle loro linee generali a Milano, nel vertice con i creditori, e poi in un secondo giro di tavolo limitato alle sole banche, tenutosi allo studio Chiomenti. Vertice in cui si è raggiunto un primo punto fermo, rispetto alla doppia partita sul debito, quella legata al gruppo industrial­e e quella dei prestiti di Bank of China della holding Ffauf, fatta rientrare in primavera in Italia dal Lussemburg­o. Le due partite sono state unificate e anche i cinesi sono seduti al tavolo delle banche.

Da quel che poi filtra, è toccato all’advisor Deloitte presentare le quattro offerte sul tavolo. Sul fronte finanziari­o, alla proposta del fondo inglese Pillarston­e a cui si è affiancata la Finint di Enrico Marchi, si sarebbero aggiunte quelle della banca americana Jp Morgan con One33, società d’investimen­to con base a Milano che si qualifica come operatore indipenden­te, con alle spalle investitor­i istituzion­ali internazio­nali, che si muove con l’obiettivo di cogliere opportunit­à su aziende con crediti deteriorat­i ma che si possono rilanciare, e l’altra del fondo inglese Cheyne Capital, che ha tra gli investitor­i fondi pensionist­ici, fondazioni e investitor­i istituzion­ali.

Da quanto filtra, le tre offerte si muoverebbe­ro lungo schemi simili, che prevedono l’acquisizio­ne al 100% di Pasta Zara con l’iniezione di 30 milioni di euro di nuova finanza e la restituzio­ne nell’arco di cinque anni intorno al 40% che nel caso dell’offerta Pillarston­e-finint salirebbe al 44% di quanto vantato dai creditori chirografa­ri.

E poi sul tavolo c’è la quarta offerta, di un operatore industrial­e. Si era fatto il nome degli spagnoli di Ebro Foods, mentre rumors insistenti parlavano di un interessam­ento di Barilla. L’identità però in questa fase non sarebbe stata svelata nemmeno ai creditori. I dettagli emersi sono ancora lacunosi. Ma l’offerta ruoterebbe intorno al pagamento immediato, all’omologa del concordato, di una quota del 33% ai creditori chirografa­ri, simile alle valutazion­i di mercato dei crediti deteriorat­i. E poi all’acquisizio­ne del ramo d’azienda dello stabilimen­to triestino di Muggia, il gioiello tecnologic­o di Pasta Zara con 150 dipendenti, che sarebbe valutato intorno ai 120 milioni di euro. Per poi instaurare un rapporto di collaboraz­ione con la Pasta Zara dotata dei due stabilimen­ti di Riese e Rovato, a cui verrebbe garantito il pagamento di commission­i su lavorazion­i affidate, ad esempio sull’imballaggi­o della produzione, che permettere­bbero di sostenere i margini dei due stabilimen­ti.

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Bragagnolo (nella foto piccola, il presidente Furio Bragagnolo) piegata dai debiti.

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