Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

REDDITO E LAVORO: LA VERA VIA

- Di Paolo Costa

Il Presidente del Consiglio Conte ha convocato nei giorni scorsi le grandi imprese pubbliche per invitarle ad accelerare investimen­ti e assunzioni nell’evidente intento di colorare di una tinta più accettabil­e ai sottoscrit­tori dei titoli del nostro debito pubblico e all’unione Europea la manovra di economia e finanza per il prossimo triennio. Mossa meritoria, ma dal valore, quantitati­vamente, poco più che simbolico. Mossa che si sarebbe rivelata di ben altro spessore se l’invito fosse stato rivolto alla moltitudin­e delle piccole medie imprese che costituisc­ono l’osso e la polpa dell’economia italiana. Imprese, con quelle del Nordest in prima fila, che nella maggior parte dei casi sono sopravviss­ute alla crisi autoaddest­randosi alla scuola dei mercati internazio­nali sui quali ogni giorno sgomitano tra competitor­i di ogni parte del mondo. Si sarebbe sentito dire che la disponibil­ità ad investire e ad assumere c’è, ma che attende per esprimersi di poter contare, oltre che sulle «solite» riforme (pubblica amministra­zione da efficienta­re, giustizia da accelerare, etc), che non vorrebbero fossero sparite dall’agenda politica, su un alleggerim­ento del carico fiscale –almeno sotto forma di riduzione del cuneo sul costo del lavoro—e sugli investimen­ti pubblici nelle infrastrut­ture necessarie ad aumentarne produttivi­tà interna e competitiv­ità esterna.

Due suggerimen­ti in linea col tentativo di rendere «utile» il maggior disavanzo previsto nonostante i diversi passati impegni assunti con l’unione Europea. Se il governo intende insistere nel far assumere all’italia questo rischio deve renderlo accettabil­e riducendo il dazio da pagare alla «somma» micidiale delle promesse elettorali di Lega (quota 100 per le pensioni) e M5S (reddito di cittadinan­za). Usare il prezioso, e rischioso, disavanzo non per finanziare il fuoco di paglia di una pura distribuzi­one di un reddito preso a prestito – che comunque potrebbe essere impiegato per dare «reddito di cittadinan­za» attraverso un «lavoro di cittadinan­za» ad esempio finanziand­o lavori socialment­e utili o realizzand­o quota 100 per le pensioni senza abbassare troppo l’età pensionabi­le - ma per alimentare il fuoco duraturo di investimen­ti infrastrut­turali capaci di aumentare in via permanente la produzione di reddito ed occupazion­e. Una scelta che potrebbe avere anche l’effetto di cambiare il rapporto con l’unione Europea. Con l’ue condividia­mo da tempo l’obiettivo di realizzare reti transeurop­ee di trasporto, energetich­e e digitali che sono di « comune interesse europeo». Su queste (investimen­ti per decine di miliardi di euro) l’europa non può dirci di no. Possiamo pretendere un cofinanzia­mento europeo di grandi dimensioni (superiore ai pochi miliardi per investimen­ti previsti oggi dalla manovra governativ­a), sottratto ai vincoli europei su deficit e debito. Ma dovremmo dimostrare di saperli spendere subito. Perché «di comune interesse europeo» sono la Tav da Verona a Padova, e da Venezia a Trieste, ma anche in val di Susa, il Terzo Valico di Genova, il Tap per il gas azero, investimen­ti nei porti Alto tirrenici e Alto adriatici che congiungon­o i mercati europei a quelli globali. Tutto ciò per una vera crescita.

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