Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
REDDITO E LAVORO: LA VERA VIA
Il Presidente del Consiglio Conte ha convocato nei giorni scorsi le grandi imprese pubbliche per invitarle ad accelerare investimenti e assunzioni nell’evidente intento di colorare di una tinta più accettabile ai sottoscrittori dei titoli del nostro debito pubblico e all’unione Europea la manovra di economia e finanza per il prossimo triennio. Mossa meritoria, ma dal valore, quantitativamente, poco più che simbolico. Mossa che si sarebbe rivelata di ben altro spessore se l’invito fosse stato rivolto alla moltitudine delle piccole medie imprese che costituiscono l’osso e la polpa dell’economia italiana. Imprese, con quelle del Nordest in prima fila, che nella maggior parte dei casi sono sopravvissute alla crisi autoaddestrandosi alla scuola dei mercati internazionali sui quali ogni giorno sgomitano tra competitori di ogni parte del mondo. Si sarebbe sentito dire che la disponibilità ad investire e ad assumere c’è, ma che attende per esprimersi di poter contare, oltre che sulle «solite» riforme (pubblica amministrazione da efficientare, giustizia da accelerare, etc), che non vorrebbero fossero sparite dall’agenda politica, su un alleggerimento del carico fiscale –almeno sotto forma di riduzione del cuneo sul costo del lavoro—e sugli investimenti pubblici nelle infrastrutture necessarie ad aumentarne produttività interna e competitività esterna.
Due suggerimenti in linea col tentativo di rendere «utile» il maggior disavanzo previsto nonostante i diversi passati impegni assunti con l’unione Europea. Se il governo intende insistere nel far assumere all’italia questo rischio deve renderlo accettabile riducendo il dazio da pagare alla «somma» micidiale delle promesse elettorali di Lega (quota 100 per le pensioni) e M5S (reddito di cittadinanza). Usare il prezioso, e rischioso, disavanzo non per finanziare il fuoco di paglia di una pura distribuzione di un reddito preso a prestito – che comunque potrebbe essere impiegato per dare «reddito di cittadinanza» attraverso un «lavoro di cittadinanza» ad esempio finanziando lavori socialmente utili o realizzando quota 100 per le pensioni senza abbassare troppo l’età pensionabile - ma per alimentare il fuoco duraturo di investimenti infrastrutturali capaci di aumentare in via permanente la produzione di reddito ed occupazione. Una scelta che potrebbe avere anche l’effetto di cambiare il rapporto con l’unione Europea. Con l’ue condividiamo da tempo l’obiettivo di realizzare reti transeuropee di trasporto, energetiche e digitali che sono di « comune interesse europeo». Su queste (investimenti per decine di miliardi di euro) l’europa non può dirci di no. Possiamo pretendere un cofinanziamento europeo di grandi dimensioni (superiore ai pochi miliardi per investimenti previsti oggi dalla manovra governativa), sottratto ai vincoli europei su deficit e debito. Ma dovremmo dimostrare di saperli spendere subito. Perché «di comune interesse europeo» sono la Tav da Verona a Padova, e da Venezia a Trieste, ma anche in val di Susa, il Terzo Valico di Genova, il Tap per il gas azero, investimenti nei porti Alto tirrenici e Alto adriatici che congiungono i mercati europei a quelli globali. Tutto ciò per una vera crescita.