Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il vitalizio non è una pensione Il gip nega lo sconto a Chisso
Inchiesta Mose, bocciata l’istanza di sequestro di due milioni a Minutillo. La difesa: faremo ricorso
Il gip Massimo Vicinanza, lo stesso di fronte al quale l’ex assessore Renato Chisso aveva patteggiato e che aveva disposto la confisca di 2 milioni di euro, ha rigettato la sua istanza. Chisso aveva chiesto che non gli venisse «preso» l’intero importo di 6mila euro al mese, ma un quinto.
Quasi novantamila euro gli erano stati pignorati quando, lasciato il consiglio regionale dopo vent’anni, aveva ricevuto il Tfr. Poi la procura aveva messo le mani anche sul vitalizio di Renato Chisso, l’ex assessore regionale alle Infrastrutture arrestato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta Mose la mattina del 4 giugno 2014 e uscito con il patteggiamento a due anni e mezzo nel novembre successivo: circa 6 mila euro al mese che, fino allo scorso aprile, avevano portato a una cifra totale di 185 mila euro. In tutto, dunque, quasi 300 mila euro fino a oggi. E continuerà così, dopo che il gip Massimo Vicinanza, lo stesso di fronte al quale Chisso aveva patteggiato e che aveva disposto la confisca di 2 milioni di euro come prezzo del reato, ha rigettato l’istanza del suo avvocato Antonio Forza, che chiedeva che all’ex assessore non venisse «preso» l’intero importo mensile, ma solo un quinto di esso, come avviene per lo stipendio o per la pensione.
La tesi di Forza era infatti proprio questa. «Ormai da anni i politici versano i contributi e dunque il vitalizio che ricevono, parametrato su di essi, può essere paragonato a una pensione - spiega -. Lo dice anche una recente giurisprudenza della Corte dei Conti». Il gip però è stato di opinione opposta, citando una sentenza di due anni fa della Cassazione, in cui si dice che «l’assegno vitalizio previsto dalla legislazione regionale in favore del consigliere dopo la cessazione del mandato non può essere assimilato alla pensione del pubblico dipendente»: non c’è un vero e proprio rapporto di lavoro, così come non c’è un’assunzione, ma una nomina in seguito a elezione. Tanto che il gip conclude dicendo che di quel vitalizio «può eseguirsi la confisca già ordinata e le somme in sequestro possono essere definitivamente acquisite, così come i ratei ancora da erogare». «Faremo opposizione e siamo pronti anche a sollevare una questione di legittimità costituzionale sul fatto che a decidere sia sempre lo stesso giudice», aggiunge il legale.
Chisso era accusato di vari reati corruttivi, in primis di aver ricevuto uno «stipendio» di 250 mila euro dal Consorzio Venezia Nuova, di aver incassato una mazzetta di 160 mila euro a Palazzo Ferro-fini il 7 febbraio 2013 e di essere stato proprietario di una quota del 5 per cento di Adria Infrastrutture, la società del gruppo Mantovani specializzata in project financing, attraverso la Investimenti Srl di cui era titolare Claudia Minutillo. Secondo l’accusa, quella quota era stata poi venduta da Investimenti a Mantovani per 2 milioni di euro. Secondo Forza, è provato però che quei soldi non sono usciti dal conto corrente di Minutillo, che di Adria Infrastrutture era l’ad e in passato è stata anche la segretaria dell’ex governatore Giancarlo Galan. E’ per questo che, nonostante Chisso abbia sempre negato che Minutillo fosse la sua prestanome per quella quota, il legale aveva chiesto al giudice che disponesse la confisca di quel denaro. «La sentenza di patteggiamento dispone infatti confische anche nella disponibilità di terzi», dice Forza. In realtà il giudice ha rigettato anche questa richiesta, spiegando che l’istanza di sequestro può provenire solo dalla procura e che comunque andrebbe fatta non a lui, ma al giudice che sta processando Minutillo: cioè Gilberto Stigliano Messuti, di fronte a cui l’ex dark lady dovrebbe patteggiare una pena di due anni il prossimo 17 gennaio.