Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Sacerdoti in ospedale, la Regione spende 650 mila euro all’anno
Sono 50. Per le altre religioni create le stanze della preghiera
Sono migliaia i ricoverati negli ospedali del Veneto che richiedono l’assistenza spirituale di un sacerdote e così la Regione ne ha assunti 50. Cinque sono assunti con contratto del comparto (infermieri), prendono 25mila euro all’anno e coprono 36 ore la settimana; gli altri 45 rientrano nella convenzione sottoscritta tra le varie Diocesi e Palazzo Balbi, che paga le prime, mentre ai preti vengono assicurati vitto e alloggio. In tutto il servizio costa alla Regione 657.288 euro l’anno.
Pregano, confessano, distribuiscono la comunione, celebrano messa, impartiscono l’estrema unzione, benedicono, battezzano, tengono compagnia a chi non ha parenti o li ha lontani. E soprattutto consolano, tranquillizzano, allontanano la paura e la disperazione che «impregnano le pareti». Sono i sacerdoti ospedalieri, o meglio i cappellani, figure sempre più richieste da degenti anche di altre Fedi, che a loro si affidano per aggrapparsi alla speranza di guarigione o per concludere in pace il cammino terreno. Le richieste sono migliaia, al punto che la Regione per garantire la presenza dei religiosi in corsia ne ha ingaggiati 50, distribuiti negli ospedali di tutte le Usl. Cinque di loro sono inquadrati a tempo indeterminato con il contratto del comparto (infermieri e operatori sociosanitari, gli Oss), coprono 36 ore a settimana e percepiscono 25mila euro l’anno; gli altri dipendono da una convenzione stretta fra Regione e Diocesi, alle quali va il compenso pattuito, mentre i preti ricevono vitto e alloggio.
In tutto, per il servizio di assistenza spirituale, Palazzo Balbi investe 657.288 euro l’anno. Nei complessi più grandi lavorano due sacerdoti, negli altri uno, nelle due Aziende ospedaliere di Padova (1400 posti letto) e Verona (1500) ce ne sono sette ciascuna. «In tutti i poli siamo affiancati da suore, diaconi e laici, che sono volontari e ci aiutano a distribuire la comunione, tre volte la settimana — spiega don Giuseppe Cassandro, delegato della Pastorale Salute della Diocesi di Padova e da sei anni e mezzo cappellano all’ospedale di Dolo —. Questo servizio è molto apprezzato: ci sono malati che desiderano vederci quotidianamente per parlare, altri per pregare. Poi confessiamo e ogni giorno celebriamo messa: di sera nei giorni feriali, la mattina e il pomeriggio alla domenica. La nostra presenza è gradita pure ai degenti di altre religioni, diventa motivo di conforto e anche di confronto e integrazione». Non tutti i cappellani vivono in ospedale, c’è chi la sera torna al convento o a casa, ma il comune denominatore è la «reperibilità», che travalica le 36 ore settimanali. «In caso di emergenza, per esempio per impartire l’estrema unzione a un morente, corriamo, giorno o notte che sia», conferma don Giuseppe.
Per le altre Fedi negli ospedali più nuovi sono state create stanze per la preghiera. «In generale però anche islamici, ortodossi ed ebrei pregano volentieri con noi — rivela don Marco Galante, cappellano a Schiavonia — qualche problema lo sollevano solo i testimoni di Geova. Qui siamo due preti e 10 laici, il nostro impegno si sviluppa su tre livelli: l’assistenza ai malati, e sono tanti che chiedono il nostro conforto; l’accompagnamento ai familiari e l’accompagnamento spirituale a medici, infermieri e Oss, che spesso ci chiedono un colloquio, non riguardante la professione, ma la loro vita. Due dottori in particolare, ci hanno espresso la necessità di una direzione spirituale per il loro cammino di fede». I religiosi vengono poi coinvolti in questioni etiche. «Mi è rimasto impresso il caso recente di una coppia di trentenni intenzionata a ricorrere all’aborto perchè secondo la diagnosi prenatale il loro bimbo una volta nato vivrà solo poche ore — racconta don Marco —. Per la prima volta siamo riusciti a scongiurare un aborto e a far cambiare idea alla coppia. La Chiesa è sempre a favore della vita e poi non è la prima volta che, a fronte di una diagnosi infausta, il bimbo nasce sano. Lo stesso aiuto ci chiedono i parenti degli anziani ai quali dev’essere inserito il sondino per l’alimentazione. Vogliono capire se si tratta di accanimento terapeutico o rispetto per la vita. Ma il nostro compito principale è portare sollievo e una parola di speranza in luoghi in cui si provano tanta paura e disperazione».