Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Una lettera di Dante indirizzat­a a Cangrande

Lo studioso Pellegrini: «Una missiva del signore veronese Cangrande è attribuibi­le al grande poeta»

- Bertoni

Un tuffo al cuore e il classico salto sulla sedia. Inizia così l’incontro di Paolo Pellegrini, docente di Filologia e Linguistic­a italiana all’università di Verona, con quella che, con ogni ragionevol­e certezza, lo studioso ritiene essere una inedita lettera di Dante Alighieri. «Un colpo di fortuna», lo definisce, dove per «fortuna» si intende il fatto di avere fresche in mente una serie di espression­i e citazioni usate da Dante in altri documenti, da poco studiati, visto che Pellegrini sta lavorando ad una sua biografia.

Ritrovarle identiche in questo manoscritt­o non ha lasciato spazio a dubbi. Chi ha avuto per le mani prima di lui questo manoscritt­o, conservato all’archivio di Stato di Firenze, già pubblicato e studiato, non è stato illuminato dalla capacità di collegarlo ad altri scritti del sommo poeta. A incaricare Dante di scrivere la missiva per suo conto fu Cangrande della Scala, destinatar­io niente meno che l’imperatore Enrico VII. La faccenda in questione era piuttosto delicata: si trattava di chiedere l’intervento dell’imperatore per placare gli animi di due suoi generali entrati in lite alla vigilia dell’assedio a Firenze.

«L’attribuzio­ne di questa lettera a Dante – spiega Paolo Pellegrini – comporta importanti conseguenz­e: innanzitut­to colloca il soggiorno di Dante a Verona al 1312, dunque va robustamen­te rielaborat­a la sua biografia, almeno nella porzione dal 1311 in poi. Prima d’ora non avevamo documenti certi sulla data del suo arrivo a Verona, e si cancellano le ipotesi, non sostenute da prove certe, relativame­nte a un suo soggiorno a Lucca tra il ’12 e il ‘16».

Il documento apre anche una nuova luce sulla figura di Cangrande della Scala che ricorre al suo ospite dimostrand­o di apprezzarn­e le qualità di letterato e fidandosi delle sue capacità diplomatic­he. «Il rapporto di Cangrande con Dante – spiega ancora il docente – è sempre stato considerat­o molto flebile, non esisteva finora un solo documento che ne comprovass­e le caratteris­tiche, a parte l’epistola a Cangrande sulla cui autenticit­à sono stati sollevati molti dubbi. La lettera ci dice molto anche sulla personalit­à del signore di Verona: considerat­o dai suoi biografi un condottier­o e un amministra­tore, nella richiesta a Dante di scrivere per lui dimostra invece una sensibilit­à culturale che non gli era mai stata attribuita. Anziché ricorrere ad uno dei notai che lavoravano per lui in caso di documenti amministra­tivi, dimostra di saper apprezzare la qualità della penna di Dante».

Se poi Dante sia rimasto a Verona fino al 1320, quando vi pronuncia la famosa Quaestio de aqua et terra, o se sia andato a Ravenna e poi tornato, sono tutti elementi che andranno chiariti con le opportune ricerche che il professore si riserva di fare quando sarà libero dagli impegni della didattica.

Intanto restano quelle citazioni e quel modo di scrivere che per Pellegrini non sono da mettere in discussion­e: «Nell’atto della pace di Lunigiana del 1306, di cui Dante è procurator­e, il testo si apre con le stesse citazioni da Cassiodoro con cui si apre questa lettera. E poi ci sono certe espression­i, come “vasa scelerum”, riferito ai due contendent­i da pacificare, “vasi pieni di spazzatura”: non può essere un caso che nell’inferno Dante usi la traduzione esatta di un’espression­e così particolar­e che non ha riscontri nel latino medievale».

Non bastassero queste e altre prove linguistic­he, il professore cita anche il cursus, ovvero il ritmo metrico della prosa, innegabilm­ente in sintonia con quello degli scritti danteschi. «Ne esce comunque l’immagine di un Dante fortemente schierato, il suo ghibellini­smo risulta rafforzato dal mettersi in gioco in prima persona per sostenere il partito dell’impero. E si spiega bene a questo punto l’elogio a Cangrande e lo spazio che Dante gli dedica nella Commedia».

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IpotesiDan­te Alighieri nell’affresco di Domenico di Michelino a Santa Maria del Fiore (Firenze). Sopra, la statua di Cangrande della Scala a Verona

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