Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Vi racconto il mio antenato Dante Alighieri»
Il nipote Pieralvise: «I discendenti hanno sempre avuto legami con Verona. Nel Cinquecento il cognome rischiò la scomparsa»
Una lettera del 1312, firmata da Cangrande e indirizzata all’imperatore Enrico VII, oggi attribuita a Dante: è l’ipotesi avanzata, su suggerimento di Gian Paolo Marchi, professore emerito di Italianistica, da Paolo Pellegrini, docente di Filologia e Linguistica italiana all’università di Verona. A commentare la notizia è Pieralvise Serego Alighieri, ventunesimo discendente del Sommo Poeta, che vive a Gargagnago in Valpolicella, la terra eletta dal figlio di Dante, Pietro. «Si tratta di un’ipotesi, che rimane tale, ma importante, dal mio punto di vista, perché richiama l’attenzione sul rapporto tra Dante e Verona. La città non può che trarne un meritato beneficio».
La notizia porta a nuove considerazioni sulla biografia e sul pensiero di Dante, lei cosa ne pensa?
«È un’attribuzione che riqualifica a mio parere l’immagine del contatto tra Dante e Verona che risulta ora privilegiato rispetto a quello con altre città che ne rivendicavano la presenza. Nelle sue biografie l’importanza di Verona è spesso stata sottovalutata, ora si rende necessaria una rivisitazione. L’ipotesi avanzata, a partire dalla datazione della lettera, che Dante possa essere stato qui dal ’12 al ’20, è molto affascinante, aprendo nuove prospettive sul rapporto con Cangrande e gli Scaligeri».
È un caso che la discendenza di Dante avvenga a Verona?
«No. È un’ulteriore conferma del rapporto privilegiato che Dante ha avuto con Verona, dove nel suo esilio era stato seguito dal figlio Pietro. Dopo la morte del padre, Pietro aveva avuto una provvigione sociale rilevante e aveva poi sposato una giovane toscana. È stato probabilmente grazie alla provvigione e alla dote portata in dono da lei che è stato possibile, intorno alla metà del ‘300, acquistare i terreni e la casa, in cui ancora abitiamo. La vita di Pietro e della sua famiglia è sempre stata qui, a Verona, anche se al momento della sua morte si trovava, per motivi di lavoro, era magistrato, a Treviso, dove è sepolto».
A un certo punto però nella storia della famiglia avviene che si rischia di perdere il cognome…
«Gli Alighieri vivono attraverso Pietro e i suoi discendenti fino alla metà del ‘500 quando l’ultimo maschio, canonico, ottiene dispensa per cercare di generare discendenza maschile, un tentativo naufragato in qualche figlia femmina. Decide così di lasciare beni e sostanze, compresa questa casa dove ancora viviamo, a una sua nipote Alighieri che aveva sposato un Serego, a condizione però che si aggiungesse alla prole il cognome della madre. Solo così la trasmissione del nome di Dante si è salvata».
Il legame con questa terra sembra continuare nella produzione del vino e nelle battaglie a difesa del paesaggio che lei conduce attraverso l’associazione Salvalpolicella, di cui è presidente e fondatore…
«Come tutte le associazioni, vive di volontariato e resta un osservatorio ambientale su un paesaggio fragile, dove la situazione mi sembra peggiorata, il miglioramento per ora lo registriamo solo a parole…»
Come è stata vissuta questa straordinaria discendenza nella sua famiglia e il rapporto con un avo così importante?
«È un onore e una fortuna, ma non abbiamo alcun merito, cerchiamo non dico di essere all’altezza, ma almeno di provarci».
Verona ambisce a candidarsi Capitale della Cultura, puntando anche sulle celebrazioni dantesche in coincidenza con l’anniversario della morte nel 2021: cosa ne pensa?
«È una lodevole speranza, non sempre suffragata dalla situazione reale di Verona che dal punto di vista culturale avrebbe molto da costruire. Oggi sinceramente la vedo difficile: quello che si considera cultura si limita spesso al balcone di Giulietta, ma c’è bisogno di altro, sull’esempio di altre città che hanno avuto il titolo, come Mantova o Matera».