Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

ONDA SOVRANISTA

- di Alessandro Russello

Un’onda. Verde. Travolgent­e nel Nord delle regioni ordinarie con la fame di speciali e delle speciali con l’incubo di ritrovarsi (chissà mai) un po’ più ordinarie. Un’onda di piena in Trentino e più di un riverbero in Alto Adige, dove al di là della storica supremazia politico-identitari­a di una Svp comunque in calo, Salvini diventa il primo partito a Bolzano e quindi simbolo contro-identitari­o per la difesa dell’italianità. Un’onda – in queste elezioni nazionali e perfino «internazio­nali» vista la polemica sul doppio passaporto per la genìa italian-sudtiroles­e e lo stesso tunnel del Brennero - che colora di verde tutto il Nord-nordest. Trentino, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Per ora. Perché l’occhio sovranista di Salvini è lungo e la sua gittata arriva al prossimo autunno, all’emilia Romagna rimasta con la Toscana ultima roccaforte di un centrosini­stra se non in ritirata rinchiuso in un fortino sempre più espugnabil­e. Perché confuso, litigioso, frammentat­o, senza stelle polari. Messo in fuorigioco da parole non più sue – migranti in testa – perfino al di là delle politiche strumental­i di chi la parola migranti la brandisce anche dove i «foresti» non ci sono.

Non c’era bisogno di sondaggi per sapere come sarebbe andata a finire. La domanda vera era e resta perché. Perché in un’area del Paese raccontata da qualsiasi report come la più coesa, con un super Pil, le maggiori risorse e la migliore qualità della vita, non è stato confermato il vecchio sistema di governo amplifican­do peraltro il voto politico del 4 marzo? La risposta – a suo modo semplice nella sua complessit­à – l’hanno data le valli trentine in uno dei viaggi elettorali compiuti da questo giornale. Corale e testuale: «Qui si sta bene ma vogliamo cambiare».

Sindrome da paure preventive? Crisi di sistema in un sistema del quale tutti o quasi hanno fatto comunque parte? Virus della rottamazio­ne per la rottamazio­ne? Decisioni politiche impopolari?

Certo, ad esempio il Comune di Cavalese, governato dal centrosini­stra, ha votato in massa la Lega perché il «punto nascite» del suo piccolo ospedale era stato soppresso e il candidato Maurizio Fugatti ha promesso che lo riaprirà (anche contro l’evidenza secondo la quale nessun ospedale sotto casa è come quelli un po’ più distanti ma meglio attrezzati). Ma non può essere tutto qui se da De Gasperi siamo passati a Salvini attraverso il centrosini­stra autonomist­a di Dellai e il Patt del governator­e uscente Ugo Rossi, scartato dal Pd e ripresosi una rivincita che vale da sola il 12 per cento dei voti. Narrazione securitari­a e migranti a parte, ognuno si prenderà le proprie responsabi­lità.

Ventuno ottobre 2018. Segniamoci la data perché traccerà un solco nella storia di questa terra. E non solo. Se in Trentino è caduto un «sistema», la sostituzio­ne con un altro costringer­à i vincitori a una doppia sfida. Governare meglio quella che qualcuno nei giorni scorsi ha definito a torto o ragione «l’ottava provincia del Veneto» prefiguran­do una sorta di «annessione» per la virtuosità della regione governata da Luca Zaia e armonizzar­e il nuovo corso con il resto del Paese.

In sostanza, far coesistere il sovranismo di un Salvini che incassa consensi da Bolzano a Reggio Calabria e la gestione di tutta la partita autonomist­a che bolle e ribolle nelle regioni più ricche del Paese.

Con l’incognita dell’alleato Cinque Stelle, impegnato nella rivendicaz­ione del reddito

Caduta del sistema Segniamoci la data: 21 ottobre 2918, perché traccerà un solco nella storia del Trentino

di cittadinan­za e non certo a mettere in difficoltà le regioni del Sud che nel vortice delle istanze autonomist­e - ragione sociale del Carroccio rischiano solo di perderci.

Ad ogni modo, se da una parte la Lega dovrà - come ha promesso - difendere l’autonomia trentina e altoatesin­a, esito di un patto costituzio­nale e internazio­nale, non potrà nella stessa partita settentrio­nale creare figli e figliastri.

Quale autonomia concedere al Veneto di Zaia e alla Lombardia di Fontana, arrivate con rispettivi referendum votati da milioni di cittadini chiedere per prime forme altrettant­o costituzio­nali di autogovern­o?

E quale all’emilia Romagna del Dem Stefano Bonaccini che potrebbe presto diventare da rossa a verde?

E quale ancora, infine, alle regioni come Piemonte, Liguria e Toscana e perfino Puglia (il Nordest del Sud)

che si stanno più o meno strumental­mente aggiungend­o alla lista dei richiedent­i?

Un carico di responsabi­lità per il sovran-federalist­a Salvini, dietro a un successo travolgent­e, che nonostante la continua crescita di consenso nasconde alcune insidie visti tutti i «popoli» che dovrà accontenta­re. Vincere parlando di migranti è per molti aspetti facile, di «autonomia (e quindi soldi) per tutti» un po’ meno.

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