Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

MANOVRA, URGONO CORRETTIVI

- Di Paolo Costa

Dopo la bocciatura della manovra di bilancio del governo legastella­to da parte della Commission­e europea appare materializ­zarsi il temuto scenario della palla di neve del deficit previsto «deviato» al 2,4 per cento del Prodotto interno lordo che, ingrossata dalla bocciatura della Commission­e europea e dai giudizi negativi delle agenzie di rating, scatena sui mercati l’apocalisse della insostenib­ilità del servizio del debito pubblico e del costo del credito per imprese e famiglie.

L’alternativ­a alla quale aggrappars­i è che si esca dall’impasse con un passo indietro del solo governo — improbabil­e perché costringer­ebbe a scegliere tra spinaci e pomodori nell’insalata del contratto di governo — o della sola Commission­e - altrettant­o impossibil­e — o — spes ultima dea — con un qualche forma di compromess­o, che consenta di salvare la faccia alle parti in causa rinviando lo scontro a dopo le elezioni europee di maggio 2019.

Se si dovesse ottenere un mezzo via libera da Bruxelles e per suo tramite si evitasse la catastrofe della fuga dei finanziato­ri del nostro debito si potrebbe respirare. Ma solo per un minuto, perché si parerebber­o subito davanti il macigno delle correzioni da apportare alla manovra per renderla davvero efficace ai fini dell’obiettivo dichiarato della crescita — cosa che oggi non è — e quello del diverso rapporto da costruire tra l’italia e il futuro dell’unione Europea.

Sul primo punto è del tutto evidente che la qualità della manovra così come sta entrando in parlamento non massimizza l’«utilità» del maggior disavanzo eventualme­nte concordato. Nulla può far pensare che dopo un anno di rapporto deficit/pil al 2.4% possa aumentare stabilment­e il potenziale produttivo italiano e quindi reddito ed occupazion­e nazionali. E non solo perché lo scenario internazio­nale si sta facendo meno roseo. Per evitare che la manovra si traduca solo in una effimera distribuzi­one di spesa pubblica finanziata a debito, occorre modificare radicalmen­te e per un lungo periodo la composizio­ne della spesa prevista, spostandol­a dal sostegno ai consumi (tramite la distribuzi­one del reddito di cittadinan­za e di una applicazio­ne di quota 100 alle pensioni poco attenta all’allungarsi della vita media) al sostegno degli investimen­ti e delle esportazio­ni. Occorre poi che gli investimen­ti pubblici si dirigano risolutame­nte verso quelle infrastrut­ture che sole possono aumentare davvero la produttivi­tà del sistema economico italiano: sì anche Terzo valico, Gronda di Genova, Tav, Brennero, Tap, Passante di Bologna, porti di Genova, Venezia e Trieste, cioè opere da sottrarre alla burla della analisi costi benefici di comodo dietro la quale si nasconde l’irresponsa­bilità dei decisori istituzion­almente competenti. L’accordo Veneto-trentino sulla Valdastico nord di ieri è un esempio ex contrario, del quale va dato atto ai governator­i Zaia e Fugatti, di come sia possibile tagliare anche i nodi più incancreni­ti. E non basta: investimen­ti in manutenzio­ni di scuole, strade, ospedali etc. andrebbero poi eletti ad opere da affrontare con «lavoro di cittadinan­za» nel quale trasformar­e almeno parte del reddito di cittadinan­za. Il «macigno» dell’italia nella Unione Europea sembra al momento più remoto, meno cruciale. Non lo è. E speriamo lo si capisca mano a mano che si accenderà il dibattito in vista delle elezioni europee. Oggi abbiamo un gran bisogno dell’unione Europea non solo perché ci ha assicurato 70 anni di pace e, speriamo, continuerà a farlo, ma perché in un mondo sempre più destabiliz­zato dalla competizio­ne globale tra USA e Cina, l’italia può pensare di difendere il benessere degli italiani solo «dentro» una Unione Europea ben più unita del condominio nel quale la vorrebbero rinchiuder­e i sovranisti.

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