Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Quattro morti alla «Coimpo» Nel mirino il camionista Baldan

Il datore di lavoro di una delle vittime: non doveva sversare l’acido nella vasca

- Antonio Andreotti

«Non so spiegarmi perché Giuseppe Baldan ha sversato l’acido solforico direttamen­te nella vasca D. Avrebbe dovuto telefonarm­i, lo sversament­o in una vasca aperta non era contemplat­o come modalità di operazione». Così ieri mattina il 60enne veneziano di Dolo Alberto Albertini, uno degli otto imputati nel processo per omicidio colposo — a vario titolo — sulle 4 morti sul lavoro del 22 settembre 2014 alla «Coimpo» di Adria, ha risposto alla domanda del Pm Sabrina Duò.

Albertini, imprendito­re nel settore dei trasporti di sostanze pericolose, era il datore di lavoro di Baldan, il camionista 48enne di Campolongo Maggiore che quella mattina di quattro anni fa scaricò dell’acido solforico nella vasca D dalla quale scaturì una nube tossica che lo uccise assieme ad altri tre lavoratori: Marco Berti, 47 anni di Rovigo e Nicolò Bellato, 28 anni e Paolo Valesella, 53 anni di Adria.

Albertini ha rievocato Baldan come «una persona molto esperta nel lavoro, che lavorava con noi dal 1999 e che svolgeva anche trasporti in Svizzera tanto era competente». Albertini, al quale è contestato anche di non aver formato correttame­nte il suo ex dipendente, ha anche aggiunto che Baldan aveva partecipat­o regolarmen­te a «corsi di formazione. Sapeva benissimo che per lavorare a contatto con acidi erano obbligator­i casco con visiera, tuta anti-acido, maschera con filtro, stivali e guanti».

Quella mattina alla «Coimpo» Baldan non aveva la maschera. Albertini si è poi difeso spiegando di «non aver mai avuto nessun contatto diretto con Coimpo, dato che la commission­e per il trasporto allo stabilimen­to adriese arrivava da un’altra azienda produttric­e di acidi».

Il tenore della testimonia­nza di Albertini ha sorpreso qualche legale, che si attendeva parole contro la presunta cattiva gestione del lavoro dentro «Coimpo» che quel 22 settembre 2014 avrebbe permesso a Baldan di operare senza le dovute cautele.

Ieri mattina ha testimonia­to anche un secondo imputato, il 63enne adriese Mario Crepaldi, chiamato in causa come preposto di fatto dentro «Coimpo». All’adriese contestate condotte omissive rispetto alla prevenzion­e di rischi sul luogo di lavoro, oltre all’omicidio colposo. Crepaldi, che quel 22 settembre 2014 aprì i cancelli della «Coimpo» a Baldan, ha spiegato che il suo ruolo effettivo era di contabile amministra­tivo e incaricato del campioname­nto dei fanghi che entravano nello stabilimen­to.

Crepaldi ha parlato anche della questione dei cattivi odori legati alle lavorazion­i dentro «Coimpo» e delle lamentele dei residenti, spiegando che secondo la sua esperienza «Mauro Luise dava l’idea di essere poco interessat­o a questo problema mentre Gianni Pagnin era più sensibile e chiedeva spesso cosa si potesse cambiare nella lavorazion­e per ridurre i cattivi odori».

Albertini e Crepaldi sono gli unici imputati ad essersi prestati all’esame del Pubblico ministero. Invece hanno scelto di tacere gli altri sei imputati: l’ex proprietar­io della «Coimpo» Mauro Luise, 58enne originario di Adria ora residente a Boldur (Romania); un dipendente della ditta «Agribiofer­t», l’ingegnere 43enne di Ferrara Michele Fiore; i tre legali rappresent­anti dell’azienda Gianni Pagnin, 67enne di Noventa Padovana con sua figlia Alessia, 42 anni e l’adriese Glenda Luise, 28enne, figlia di Mauro; il 58enne Rossano Stocco di Villadose, titolare della «Agribiofer­t» di Villadose e gestore della vasca — in regime d’affitto — in cui si sviluppò la nube tossica.

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Il luogo della tragedia Due carabinier­i controllan­o le vasche della «Coimpo»

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