Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Aspettare, sperare, asciugare «Andare via dalla golena? Mai, questa è casa nostra»

Stranieri disperati, veneti abituati: viviamo con poco, è il paradiso

- di Silvia Madiotto

L’uomo è seduto su una sedia pieghevole, lungo l’argine del Piave. Non si lamenta. Baffi e berretto, guarda solo davanti a lui, dritto e profondo, quello che sembra un lago ed è il fiume, sei metri di piena che non si vedevano da tanto, tanto tempo. La sua casa è sommersa fino alle finestre del primo piano. Il resto è tutto sott’acqua. «E che problema c’è – si volta leggero Alessandro Cenedese -. Fra qualche giorno attacchiam­o l’idropulitr­ice e si riparte. È una scelta di vita, qua, sai che può succedere».

Golena del Piave, Fagarè, frazione di San Biagio di Callalta: a mezzogiorn­o gli «sgomberati» sono ancora tutti lì. Gli stranieri si tengono la testa con le mani, si chiedono quanto ci vorrà per pulire, per riprendere la quotidiani­tà, perché una roba del genere non l’hanno vissuta mai. Ma gli anziani, quelli che questa situazione l’hanno già affrontata, gestita e superata fin troppe volte, sembrano vivere una quiete che va oltre la rassegnazi­one. «Non si va via, è casa nostra» dicono, mentre l’acqua piena di fango si mangia tutto. Anche quello che si sperava di riparare al piano di sopra.

«Ci hanno fatti uscire lunedì sera, di fretta, abbiamo portato via quello che si poteva – racconta Cenedese, cacciatore, classe ‘49 -. Alle sei di mattina è arrivata l’acqua, in un’ora eravamo già sotto». E cosa si salva in questi casi? «Io vivo con un tavolo, quattro sedie e un televisore, non mi serve altro, si sa cosa può capitare. Ho portato in salvo gli animali». Tutti al di là dell’argine, all’asciutto, in un recinto costruito apposta in poche ore durante la notte: «Due cavalli, un asino, sette cani, due gatti, un’oca, delle anatre, un tacchino, una ventina di colombi, i fagiani, le galline che sono ancora là, su un albero – indica Cenedese – e una cocorita». Si ferma. «La cocorita. L’ho dimenticat­a in bagno, dentro la gabbietta. Era bellissima». È quello il dolore, perché all’acqua in casa ci si abitua, abitando in golena.

Ad Andrea Cremonese vengono gli occhi lucidi mentre parla. Di casa sua si vede solo un lembo del tetto; l’ha costruita suo padre nel 1954 e già non vede l’ora di rientrare.

«Bisogna soeo spetar – dice -, su na setimana te sughi el

groso. E te continui sugar, fin st’ano che vien, coa speransa che no vien su n’altra volta

parché no se scampa». Aspettare, asciugare e sperare.

Per Renzo Baranello, che vive sull’altra sponda del fiume, a Salgareda, è la decima alluvione: «Ma torniamo sempre qui, nonostante i lavori e i sacrifici, è la nostra casa e quando il fiume è tranquillo qui è un paradiso. È la prima volta che il livello sale così tanto. Questa volta non ci è bastato portare tutto al primo piano. Ma è così che va se vivi qui, lo accettiamo».

Chi non ci abita fatica a capire cosa ci facciano lì quelle case, come si possa dormire tranquilli. «Purtroppo sono state costruite quando ancora non c’erano divieti – ha commentato il governator­e Luca Zaia -. Oggi quegli immobili non hanno più mercato. I residenti sono abituati alle piene e molti non hanno possibilit­à di spostarsi. Ci vorrebbe una norma nazionale che li obbligasse a lasciare quei luoghi, magari con degli incentivi per acquistare un’abitazione in una zona più sicura».

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Immobili senza valoreLe case in golena sono molte suggestive ma non valgono nulla: sono costruite in aree oggi vietate
 ??  ?? «Quella è casa mia» Alessandro Cenedese, 69 anni, vive a Fagarè: «Siamo usciti lunedì sera, ho messo al riparo gli animali»
«Quella è casa mia» Alessandro Cenedese, 69 anni, vive a Fagarè: «Siamo usciti lunedì sera, ho messo al riparo gli animali»

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