Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

SE SI FERMA (ANCHE) IL NORDEST

- Di Sandro Mangiaterr­a

D’accordo, il clima internazio­nal e non aiuta. Tra guerre vere e guerre commercial­i, mercati bloccati dalle sanzioni (vedi Russia) e incognite sugli scenari prossimi venturi (Iran), è logico che l’italia, Paese che sulle esportazio­ni punta le maggiori carte per la ripresa, rischi di trovarsi in difficoltà. Ed è inevitabil­e che in un contesto di tale incertezza, a rimetterci maggiormen­te sia proprio il Nordest, dove il rapporto export su Pil arriva a superare il 38 per cento contro il 25,7 della media nazionale. Tutto vero, tutto giusto. Resta però la questione di fondo: se si ferma (anche) il Nordest sono guai per l’italia intera. Altro che crescita all’1,5 nel 2019 e all’1,6 nel 2020. All’orizzonte si prospetta davvero la decrescita ed è improbabil­e che possa essere felice. I timori della primavera-estate sono diventati autentici campanelli d’allarme dopo gli ultimi dati della Banca d’italia, relativi al secondo semestre 2018: il Nordest, per l’appunto, si è fermato, a differenza del Nordovest che pure sta esaurendo la spinta ma segna ancora piccoli passi avanti. Gravissimo, se si pensa che Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia avevano guidato la risalita, recuperand­o dal 2013 a oggi 6,7 punti di ricchezza perduta (contro gli 8 persi negli anni della Grande Crisi), facendo molto meglio del Nordovest che si era fermato a una rimonta di 5,3 punti.

Bankitalia, peraltro, conferma che uno dei nodi principali riguarda l’export, che fortunatam­ente continua a dare segnali positivi (più 3,3 il Veneto, più 5,9 l’emilia Romagna, più 5 il Trentino Alto Adige), ma che viaggia a un ritmo ben diverso dall’anno scorso (Veneto più 5,1, Emilia più 6,7, Trentino Alto Adige più 8,3). Bisogna tornare a correre. O almeno provarci. E in fretta. Per cominciare, sul tasto cruciale delle esportazio­ni, qualche segnale forte e chiaro dovrebbe lanciarlo la politica nazionale. I continui attacchi all’europa, le polemiche esplicite con Emmanuel Macron e Angela Merkel non spianano certo il terreno alle nostre imprese. Pietro Ferrari, presidente di Confindust­ria Emilia Romagna, ha ricordato a tutti, governo in testa, che i principali mercati esteri per le aziende nordestine sono Germania e Francia. Poi, certo, anche il sistema delle imprese ha le sue responsabi­lità. Sul versante dell’internazio­nalizzazio ne ogni associazio­ne confindust­riale o altra associazio­ne di categoria pretende di fare per conto proprio, con duplicazio­ni di missioni (inutili) e spese (folli). Ora in Veneto è rinato il Centro estero delle Camere di Commercio, cui partecipan­o tutti gli enti camerali della regione. Chissà che, dopo il naufragio di Veneto Promozione, non sia la volta buona per voltare pagina. Il punto centrale, comunque, è sempre lo stesso. La crescita ci può essere (e può rafforzars­i) solo mettendo in campo politiche che la favoriscan­o. Sembra un’ovvietà, ma non lo è, se è vero che il mondo delle imprese, da Carlo Bonomi, presidente di Assolombar­da, a Matteo Zoppas, numero uno di Confindust­ria Veneto, ha espresso dure critiche alla manovra di Bilancio. I problemi sono noti: occorre aumentare la produttivi­tà, incentivar­e l’innovazion­e, alzare il livello di competitiv­ità dell’intero Paese. Stoppare (o quanto meno ridimensio­nare fortemente) il piano Industria 4.0 di sicuro non è una buona mossa di (ri)partenza.

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