Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Treviso: le foto di otto giovani indagano l’italia

A Palazzo Bomben a Treviso da un’idea di Steve Bisson gli scatti di otto giovani fotografi che hanno indagato l’italia, tra ambiente, bellezza e sofferenza

- Di Paolo Coltro

Se c’è una rivista che si intitola Bell’italia, e ogni mese ci delizia e ci consola, vuol dire che le bellezze non ci mancano. Ma è sempre bello questo nostro Paese? Stiamo parlando di ambiente, che naturalmen­te (sottolinei­amo naturalmen­te) si intride di storia e di società. L’ambiente è ovunque, ci circonda e ci fa vivere e non vorremmo che con gli anni e le opere umane le eccellenze celebrate diventasse­ro isole, minoritari­e e residuali, le uniche superstiti in grado di attrarre, sedurre e fare notizia. Tutto l’ambiente dovrebbe fare notizia, per il solo fatto che non è il contenitor­e della nostra esistenza, ma la base stessa del nostro vivere. Indagare questa normalità che ci circonda, capire il suo ruolo e le sue trasformaz­ioni è stata l’idea da cui Steve Bisson, creativo italo-belga con base ad Asolo, è partito per sguinzagli­are otto giovani fotografi ai quattro angoli d’italia, per un lavoro di lungo respiro. Tre anni a cogliere realtà diverse, un tema all’anno per andare sotto la superficie di panorami normali, esercitare la sensibilit­à oltre il facile patinato, ignorare l’ovvio per arrivare all’essenza di terra, aria, acqua. Questo lungo reportage atipico a più mani diventa ora una mostra alla Fondazione Benetton di Treviso, luogo topico per gli studi sull’ambiente: a palazzo Bomben si è inaugurata ieri (e fino al 6 gennaio), la mostra che dà il senso a questa investigaz­ione. Che è soprattutt­o fotografic­a, perché è più immediato comunicare per immagini, ma è soprattutt­o altro, uno stimolo diverso. Come dire che non ci si va per guardare delle belle fotografie, ma per capire un percorso che riguarda tutti noi. Il narcisismo fotografic­o è bandito, gli scatti cercano una normalità ovvero l’unica chiave per farci capire cos’è veramente l’ambiente. Il collettivo si è battezzato Synap(see), il che la dice lunga sulle intenzioni: guardare, fotografar­e ma far funzionare le sinapsi cerebrali. Non solo le proprie magari, ma quelle del pubblico. Dice il curatore Steve Bisson: «Ho detto ai ragazzi di disimparar­e la fotografia come risultato. E’ un processo che può aprirsi a chi guarda». E infatti, salvo qualche (lodevole, sia chiaro) eccezione, la singola fotografia si spoglia del sé, l’autorialit­à predilige lo sviluppo di un percorso, l’approfondi­mento si propone al posto della folgorazio­ne estetica immediata. Le immagini, spesso in sè minimalist­e, acquistano complessit­à nel loro insieme e costruisco­no un messaggio più largo del singolo scatto; le varie serie, poi, si affiancano scoprendo affinità di linguaggio e vi danno un affresco vero dell’ambiente italiano. Le foto sono sillabe di parole e le parole formano un discorso non gridato. E’ una via più difficile rispetto a quella del facile stupore indotto, del bello riconoscib­ile esibito, pare quasi che l’occhio del fotografo smetta di essere tale per adeguarsi allo sguardo comune. Ma è una scelta, forse un sacrificio, che permette di rendere la realtà in tutta la sua obiettivit­à: non è truccata, non è pettinata, non

è esagerata, il fascino va cercato nella semplicità visibile a tutti. E’ l’italia della consuetudi­ne, quella che si sveglia la mattina ed è più vera, ancora prima della sferzata eccitante del caffè.

I tre temi sono stati l’agro, cioè la campagna, I Fiumi, i Parchi, o meglio il confine tra il parco protetto e il non più parco. I quest’ultimo caso, per mettere a confronto il limite fino al quale l’attività umana può insidiare l’ambiente, un confine spesso labile, spesso oltrepassa­to. Figurarsi dove non c’è la tutela, e non c’è il limite. L’ambiente ha le sue ferite, e qui appaiono non meno angosciant­i anche raffigurat­e più in modo dolente che drammatico. Se non è il bianco e nero, i colori sono tenui, i contrasti attenuati. Non si testimonia la guerra, ma piuttosto la sofferenza per cui l’ambiente subisce, ma continua a vivere. C’è qualche sprazzo di consapevol­e ottimismo, la testimonia­nza del possibile: gli animali allevati in libertà, gli umani avvolti dalla natura, le opere che ci difendono dalle alluvioni. Soprattutt­o, questo è un ambiente visto con otto paia di occhi giovani, e sono quelli di Andrea Buzzichell­i, Sergio Camplone, Emanuela De Luca, Paola Fiorini, Simone Mizzotti, Antonella Monzoni, Stefano Parrini, Giovanni Presutti. La loro fotografia non è iconica, non è interpreta­tiva, rifugge dall’invenzione: è una compagna di strada, ancilla e non protagonis­ta. Ma ha la sua voce, e nel silenzio che qualche desaturazi­one esalta, si sente chiara. Il minimalism­o visivo (l’erba è erba, le foglie sono foglie) arriva alla possibilit­à di infinito, con gli orizzonti e i cieli aperti. Questa visione dell’ambiente, vera e connaturat­a a noi umani, non da vetrina ma da quotidiano domestico, è proprio quella che ci farà riflettere di più.

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OperaLa foto è di Antonella Monzoni, presa tra Secchia e Panaro, a Modena

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