Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

CALAMITÀ, LA VIA PER PREVENIRE

- Di Paolo Costa

Le frane, inondazion­i, mareggiate e tempeste di vento abbattutes­i i giorni scorsi su 11 regioni italiane verranno iconicamen­te ricordate per gli alberi sradicati e spinti dal Piave contro la diga del Comelico, per la Basilica di San Marco invasa dall’acqua alta, e per la villa abusiva di Casteldacc­ia sepolta con dodici vittime dal fango del fiume Milicia. Ma resteranno nella memoria anche per i dieci miliardi di euro stanziati e destinati a sanare i guasti di quest’ultima recente ondata di calamità naturali. Dieci miliardi sui quali l’unione Europea non ha niente da dire. Anzi è pronta a contribuir­e.

Sempre di intervento ex post si tratta, di sicuro meno efficace del corrispond­ente intervento preventivo, ma almeno di entità che sembra adeguata. Una eccezione, se la si confronta con i trattament­i dei casi analoghi, anche recenti, di terremoti, incendi, siccità ed altre alluvioni.

Grazie al governo legastella­to le alluvioni hanno al momento vinto la lotteria, facendosi preferire alle altre calamità. È comunque da sperare che la scelta governativ­a sia dovuta anche alla consapevol­ezza che i cambiament­i climatici, sono. sempre più causa di calamità «imprevedib­ili», ma producono conseguenz­e «prevedibil­issime» e, pertanto, «prevenibil­i». «Prevenzion­e» ritualment­e promessa ad ogni disgrazia dai governanti di turno, ma difficilme­nte poi attuata per almeno due ordini di motivi. Il primo è la crisi finanziari­a dello stato.

Il macigno del debito pubblico che ci impedisce ormai da decenni di stanziare al momento giusto tutte le somme necessarie a regimentar­e i fiumi, a rimboschir­e i pendii, ad aumentare la resilienza antisismic­a delle nostre case etc. Il secondo motivo è l’incapacità italiana di prendere decisioni olistiche di lungo periodo, che non trattino il rischio idrogeolog­ico dimentican­do il terremoto di qualche giorno prima, o l’incendio di qualche mese fa, o fingendo di non sapere che la manutenzio­ne delle infrastrut­ture ambientali è solo parte di una politica da estendere alle infrastrut­ture sociali (scuole, ospedali, etc) e ancor più a quelle economiche (energetich­e, digitali e di trasporto), dalle quali dipende quella produzione del reddito che solo può finanziare il tutto nel tempo. Carenza di risorse di un Paese sovraindeb­itato e cortotermi­smo politico che, ad ogni ondata calamitosa, innescano annunci di buoni propositi nella fase emergenzia­le salvo vederli svanire alle soglie degli interventi di prevenzion­e. Un corso degli eventi che si può cambiare? Sì. E i dieci miliardi contro i danni da alluvioni sono a testimonia­rlo. Ma poiché una rondine non fa primavera, occorre che a questa segua la creazione di condizioni politiche, istituzion­ali e finanziari­e da tempo scomparse dall’agenda del governo: un andazzo che – nonostante i dieci miliardi contro le alluvioni - il «contratto» legastella­to non smentisce. Perché condizioni politiche - occorrereb­be che fosse il Parlamento ad approvare e proteggere un programma di interventi di lungo periodo, trentennal­e o forse di più, assistito da un adeguato flusso di risorse pubbliche, e non. Un programma di interventi preventivi e sistematic­i difficilme­nte garantibil­i se non affidati - condizioni istituzion­ali- a una «Agenzia per le Infrastrut­ture», sull’esempio dell’australia o della Francia, dotata di poteri simili a quelli della Banca d’italia. Ma occorrereb­be soprattutt­o che fossero garantite - condizioni finanziari­e - risorse adeguate in modo costante e indipenden­te dal ciclo politico e finanziari­o. Problema risolubile solo avendo il coraggio di ricorrere alle coperture assicurati­ve e di aggiungerv­i contributi pubblici, europei e nazionali, prestiti a lunga scadenza, e detrazioni fiscali, come per le ristruttur­azioni edilizie, energetich­e e ambientali. Ma qui ritorniamo al tema oggi al centro del dibattito sulla manovra finanziari­a per il triennio 2019-21, quello oggetto dello scontro finto con la Ue, che riflette quello vero tra l’italia e i finanziato­ri nazionali e stranieri del suo debito. L’insulsa querelle sul 2.4% o 2.9% di rapporto deficit/pil assumerebb­e tutt’altro significat­o se dimostrass­imo - cambiando la qualità della manovra - che le maggiori risorse ci servono per aumentare il potenziale produttivo del Paese con un adeguament­o delle sue «infrastrut­ture»: anche di quelle «ambientali», che ricomprend­ono la «difesa del suolo». I dieci miliardi contro le alluvioni vanno in questo senso e dimostrano che con la Ue abbiamo più da guadagnare collaboran­do e sfruttando a nostro favore le sue regole che scontrando­ci.

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