Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

I soldi spariti dei deportati e la sentenza: tutto prescritto

La causa degli ex soldati veneti bocciata in Cassazione: «Noi, traditi dallo Stato»

- Di Andrea Priante

La Cassazione, con una sentenza pubblicata due giorni fa, respinge il ricorso dei reduci che nel 1943 furono deportati negli Usa e lavorarono come «collaboran­ti». Da allora aspettano di essere pagati, ma i soldi pagati dagli americani all’italia non ci sono più. «Tutto prescritto».

A Bruno Dalla Lana, trevigiano classe 1922, l’italia ha preso tutto. Gli anni belli della giovinezza, trascinati nell’inferno della guerra in terra africana e dei campi di prigionia. E i soldi che gli spettavano. Tanti soldi. «Tra interessi e rivalutazi­one, quasi un miliardo delle vecchie lire», ricorda il figlio Claudio.

Dalla Lana era uno dei 50mila militari italiani fatti prigionier­i durante l’ultimo conflitto mondiale e inviati negli Stati Uniti. «Mio padre fu catturato dagli inglesi e rinchiuso in un campo di concentram­ento in Africa, in condizioni disumane. Quando lui e i suoi commiliton­i furono consegnati agli americani, dovettero caricarli sulle navi all’interno di ceste, perché non erano neppure in condizioni di camminare». Dalla Lana finì in un campo di detenzione militare in Texas, e lì rimase anche dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, quando Washington si ritrovò col problema di inquadrare quelli che fino a un attimo prima erano nemici e che, dopo la resa, s’erano trasformat­i in alleati. Per una superpoten­za come gli Usa, ancora impegnata nello sforzo bellico necessario a schiacciar­e i nazisti, quella forza lavoro faceva comodo e quindi propose agli ex prigionier­i di guerra italiani di lavorare per loro. Le chiamarono Italian Service Units, e vi aderirono circa 36mila detenuti che in cambio avrebbero percepito lo stesso stipendio dei soldati: poco più di due dollari. In realtà, i lavoratori italiani ricevevano solo 80 centesimi al mese, mentre tutto il rimanente finiva in un «fondo per i prigionier­i» con la promessa che la somma accantonat­a sarebbe stata consegnata al termine del conflitto.

«Mio padre accettò e finì a lavorare in una fattoria, come bracciante. Ma quando tornò in Italia non vide un soldo», spiega Claudio Dalla Lana. E come lui la quasi totalità degli altri «collaboran­ti».

Dopo aver tentato inutilment­e di scoprire che fine avessero fatto quelle somme, vent’anni fa un centinaio di loro decise di fare causa e si rivolse all’avvocato Livio Bernot e a sua figlia Grazia per citare in giudizio lo Stato e il Governo italiani, il Ministero della Difesa e quello dell’economia. In aula venne fuori che già nel 1948 gli Stati Uniti avevano consegnato al nostro Paese qualcosa come 26 milioni di dollari – una cifra enorme per l’epoca «come primo pagamento sulle somme dovute ai prigionier­i di guerra italiani che lavorarono volontaria­mente per la causa alleata». Ma quei soldi non ci sono più. «Lo Stato ha tentato di sostenere che fossero stati effettivam­ente consegnati ai legittimi destinatar­i – spiega Grazia Bernot – portando come prova dei registri. Esaminando­li, risultavan­o aver intascato le somme perfino uomini che, in realtà, erano già morti da anni». Non s’è mai capito se il denaro sia stato usato per la ricostruzi­one o se una «manina» abbia falsificat­o i registri. Di certo, non è mai arrivato un centesimo a quei collaboran­ti delle Italian Service Units.

Dopo un primo passaggio a vuoto alla Corte europea per i Diritti dell’uomo - che rispedì il caso ai tribunali italiani - iniziò il processo civile a Roma, poi in Appello. Due giorni fa è stata la Cassazione a chiudere definitiva­mente la questione. Dei 96 reduci iniziali (tutti catturati a Tunisi dall’esercito inglese e successiva­mente consegnati alle forze armate americane, che nel maggio 1943 li deportaron­o negli Stati Uniti), erano rimasti soltanto in ventisei a tenere duro fino alla Suprema Corte. Anche perché nel frattempo sono quasi tutti morti e a portare avanti la causa sono i loro figli e nipoti.

Come Claudio Dalla Lana con i suoi fratelli, che da Montebellu­na lottavano per quel miliardo di lire di papà Bruno. O come i discendent­i di Pietro Beggio, di Mogliano Veneto e la figlia del veneziano Gino Chinellato. E poi c’è Nello Bertoncin, nato a Monselice, a 96 anni suonati è l’unico reduce veneto delle Italian Service Units che risulta ancora in vita.

«Credevamo davvero di poter vincere questa battaglia – spiega Dalla Lana – come giusto

” Il trevigiano Dopo l’8 Settembre mio padre accettò di lavorare per gli Usa: tornato a casa non vide un soldo

” L’avvocato Suona come una beffa da parte dello Stato, ai danni di chi rischiò la vita per il nostro Paese

risarcimen­to per le sofferenze patite da nostro padre. Invece l’italia l’ha tradito per l’ennesima volta: quando lo spedì in Africa a combattere senza un equipaggia­mento decente, quando lo abbandonò nei campi di prigionia americani e ora, che gli nega i soldi che gli spettano».

Infatti non basta che, nella sentenza appena pubblicata, la Cassazione dica che è tutto vero: «Com’è incontrove­rso, gli Stati Uniti hanno corrispost­o (il denaro, ndr) al governo italiano, il quale avrebbe poi omesso di provvedere al relativo pagamento nei confronti degli aventi diritto». Secondo i giudici «il ricorso va respinto» perché – per quanto possa sembrare singolare la storia – dal punto di vista giuridico «si è in presenza, in definitiva, di una del tutto ordinaria pretesa creditoria» e, di conseguenz­a, visto che sono trascorsi ormai 75 anni dall’armistizio, è da considerar­si definitiva la «prescrizio­ne del diritto azionato». In pratica è passato troppo tempo. L’avvocato Grazia Bernot è sconfortat­a: «Suona come una beffa, da parte dello Stato, ai danni di chi rischiò la vita per il nostro Paese».

 ??  ?? Il militare trevigiano Bruno Dalla Lana (al centro) con i suoi commiliton­i. È uno dei «collaboran­ti» che ha fatto causo al governo italiano
Il militare trevigiano Bruno Dalla Lana (al centro) con i suoi commiliton­i. È uno dei «collaboran­ti» che ha fatto causo al governo italiano
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 ??  ?? I nostri militari In alto, prigionier­i di guerra italiani negli Usa (fonte: Weber State University). Qui sopra, una foto di gruppo dei nostri soldati: al centro c’è Bruno Dalla Lana
I nostri militari In alto, prigionier­i di guerra italiani negli Usa (fonte: Weber State University). Qui sopra, una foto di gruppo dei nostri soldati: al centro c’è Bruno Dalla Lana

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