Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il regista Michielett­o: «Il mio Macbeth? Crudo ma accetto i fischi»

Michielett­o e la prima alla Fenice: «Macbeth crudo»

- Bertoni

Il pubblico ha sempre ragione, ma per certe opere della tradizione è difficile accettare una lettura contempora­nea

Chiusa con un record di incassi la passata stagione del Teatro la Fenice di Venezia, si è aperta venerdì la nuova. Accolto tra molti applausi, ma anche qualche fischio alla regia, è andato in scena il Macbeth di Verdi rivisitato in chiave contempora­nea dal regista veneziano Damiano Michielett­o. Il regista ne ha curato anche l’allestimen­to, con la direzione del maestro sudcoreano Myung-whun Chung, entrambi alla prima prova con quest’opera verdiana. Gli incubi di Macbeth ambientati tra plastica e altalene che penzolano, in una lettura che ha suscitato qualche dissenso in sala, dal taglio incentrato soprattutt­o sul dramma personale.

Michielett­o, ci sono state incomprens­ioni con il pubblico?

«Non le chiamerei incomprens­ioni, il pubblico è come il cliente, ha sempre ragione, paga il biglietto e quindi ha il diritto di applaudire o disapprova­re. È la regola democratic­a del teatro, ed è anche la parte che amo forse di più»

Il pubblico potrebbe essere rimasto spiazzato dall’allestimen­to con elementi come plastica e catene?

«È difficile etichettar­e il pubblico, non mi permetto mai di giudicarlo, si rischia di fare di tutta l’erba un fascio. Sempliceme­nte una parte del pubblico non ha apprezzato l’estetica dello spettacolo, la mia lettura registica, le scelte che ho proposto. Forse per un autore come Verdi, che è molto legato alla tradizione italiana, è un po’ più difficile da accettare una rilettura in chiave contempora­nea. Su un’altra opera, dove il pubblico sia meno affezionat­o, magari è più facile. Ma non è una critica al pubblico, che, come ho detto, ha tutto il diritto di manifestar­e il suo parere»

Ci spiega le sue scelte di regia?

«Ho cercato di ambientare la storia con un’estetica dove la scena diviene quasi un’installazi­one, molto cruda, fatta di nylon e oggetti sparsi. Il mio intento era soprattutt­o di raccontare la fragilità dell’universo di Macbeth e il suo sogno infranto di avere un figlio. Un desiderio che non si realizza, provocando grande sofferenza e frustrazio­ne che vengono proiettate sulle figure delle streghe. Sono loro che, come in una visione, quasi portano in vita il figlio che Macbeth voleva. Non ci sono né eserciti né guerre, ma c’è la disgregazi­one psicologic­a sua e della moglie che li porta fino alla morte. Ho evitato l’ambientazi­one storica, non c’è realismo, non siamo in un’epoca, ho privilegia­to una chiave visionaria e piena di fantasia» Era la sua prima volta con quest’opera…

«Dopo cinque opere verdiane che ho messo in scena, questa è sicurament­e molto particolar­e: ne ho accentuato il lato onirico, penso di averla restituita in maniera personale con il coinvolgim­ento di tutto il coro, sempre molto presente sulla scena»

Si colgono rimandi al cinema, da Kubrick (con il triciclo in scena) all’atmosfera cupa di Festen: sono voluti?

«Amo moltissimo Kubrick, il cui stile resta indefinibi­le, così come amo Orson Welles che continua a ispirarmi, mi piacciono le personalit­à un po’ debordanti che ti scuotono. Il cinema costituisc­e un bacino di riferiment­i» Avendo firmato dal 2008 nove produzioni alla Fenice, conosce molto bene il suo pubblico… «In questi anni mi sono guadagnato la stima del teatro e del pubblico, anche quando faccio cose che possono non piacere ad alcuni. Quando proponi un certo tipo di linguaggio non puoi piacere a tutti. Ma il lavoro di un regista non è accontenta­re, ma creare emozioni usando un linguaggio contempora­neo. È bello che ci sia un rapporto dinamico e che esista questa tradizione, soprattutt­o nel rito della “prima” che mi diverte molto, quando esce il regista e il pubblico si scatena, quasi come nel tifo da stadio. Ed è una cosa che nel teatro di prosa non esiste: se lo spettacolo ti annoia o lo guardi con rassegnazi­one, non lo puoi comunicare perché tutto si conclude con un applauso più o meno convinto. Penso comunque che nelle prossime repliche ci saranno solo i meritati applausi per tutto il teatro che ha lavorato egregiamen­te»

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 ??  ?? Veneziano Damiano Michielett­o, classe 1975. A sinistra una scena del «suo» Macbeth di venerdì alla Fenice
Veneziano Damiano Michielett­o, classe 1975. A sinistra una scena del «suo» Macbeth di venerdì alla Fenice

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