Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
IL COMUNE DESTINO EUROPEO
Nello scontro tra governo italiano e commissione europea — meglio: tra l’italia e gli altri Paesi dell’euro — siamo alla guerra di trincea. Guerre destinate a durare a lungo e caratterizzate da scontri cruenti per pochi metri di terreno. Come quelli della prima guerra mondiale, ricordati nei giorni scorsi come espressioni della tragedia nella quale affondano le radici del progetto europeo. Scontri che appaiono oggi dedicati al nulla di una differenza di previsioni sul rapporto deficit/pil e al molto della sottovalutazione governativa del rapporto debito/pil: aumentata dal 4 marzo in poi per la crescita dei tassi di interesse annunciati dall’impennata dello spread —che fa lievitare il numeratore — e il contrarsi del tasso di crescita del PIL —che il denominatore lo fa diminuire. Risultato drammaticamente opposto a quello che continua ad essere promesso dal governo per giustificare la manovra.
Scontri che, se la moral suasion del Presidente Mattarella non farà il miracolo (e volendo scaramanticamente escludere l’ipotesi del precipitare della crisi finanziaria) sono destinati a durare almeno fino al 26 maggio 2019, data delle elezioni europee. A da passà a nuttata ..... Solo che per non piombare, al risveglio del 27 maggio, in un incubo peggiore bisogna far di tutto per evitare due pericoli «di metodo» e portare al centro del dibattito pre elettorale « di merito» i temi veri della posta in gioco.
Il primo pericolo è che si usi il dibattito europeo solo strumentalmente per regolare questioni politiche interne. Pericolo elevato, perché il « dagli all’europa » appare sempre più il collante principale della coalizione legastellata.
Il secondo pericolo, più grave perché più subdolo e profondo, è che anche le elezioni parlamentari europee cadano vittime delle «minacce ibride», come vengono chiamate elegantemente oggi, le campagne di disinformazione e gli attacchi informatici che sempre meno segretamente puntano ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni gli uni degli altri. Tentativi di destabilizzare dall’esterno la democrazia europea vanno messi in conto. Ma, protetto il dibattito elettorale europeo da inquinamenti interni ed esterni, occorre che lo stesso si sviluppi nel merito rilevante.
Per coloro, come chi scrive, che sono convinti che non vi sia futuro per l’italia fuori dall’unione Europea, questo significa capire e far capire che, al contrario di quanto affermano i nostalgici del ritorno ai recinti nazionali, quella in crisi oggi è proprio « l’europa degli stati nazionali », quella affetta dal virus sovranista che, sfruttando il cuneo sano del principio di sussidiarietà introdotto dal trattato di Maastricht, è andato svuotando dall’interno il potere e quindi l’efficacia di Commisione e Parlamento: le istituzioni deputate alla identificazione e difesa del «comune interesse europeo ». « Comune interesse europeo » che non basta più motivare ricordando il miracolo dei settanta anni di pace garantiti dall’europa, esaltati nel confronto con le due guerre mondiali dei quarant’anni precedenti. Una giusta retorica, ma che nulla ci dice del futuro, che parla con difficoltà alle nuove generazioni.
Oggi il «comune interesse europeo» sta nel fatto che solo l’unione Europea può garantirci pace, prosperità e identità in un mondo inevitabilmente destabilizzato dallo scontro Usa-cina per il predominio mondiale, nel quale ogni altra «potenza» nazionale non può che fare la fine dei vasi di coccio. Uno scenario nel quale il gramo destino di economie esportatrici come quelle del Triveneto e dell’emilia Romagna è facilmente prevedibile. Come garantire invece il raggiungimento degli obiettivi comuni è il solo tema che le forze politiche europee dovrebbero affrettarsi a declinare.
Minacce ibride
Ci sono pericolose campagne di disinformazione che puntano ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni