Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Bcc, altre fusioni dopo l’avvio dei nuovi gruppi»

- Di Davide Orsato

Un respiro di sollievo per la riforma del settore, alla fine non stravolta. E la previsione di nuove fusioni bancarie nel quadro dei nuovi gruppi. È lo stato del credito cooperativ­o in Veneto emerso ieri a Verona.

Nuove fusioni, dopo VERONA quelle dell’ultimo anno. E una «rivoluzion­e» a Nordest nell’assetto territoria­le che coinvolger­à le banche che hanno aderito al gruppo Iccrea: con una nuova associazio­ne interregio­nale tra Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Cosa accadrà al credito cooperativ­o veneto ora che si è capito che la riforma voluta dal governo Renzi verrà applicata, con l’eccezione, prevista dall’emendament­o correttivo varato in questi giorni dalla commission­e Economia e finanza del Senato, degli istituti altoatesin­i? Il tema è stato affrontato ieri a Verona al Festival della dottrina sociale, organizzat­o dalla galassia che fa riferiment­o a Cattolica assicurazi­oni. Presenti molto delle Bcc venete di area Iccrea, tra cui Banca di Verona (con sede a Ca’ di David), Banca Veronese (di Concamaris­e) e Cerea Banca. È stata l’occasione per lanciare ipotesi su quanto accadrà alle federazion­i regionali (presente il direttore regionale del Veneto, Piero Collaiuto).

La voce più insistente riguarda una riorganizz­azione territoria­le, almeno per gli istituti aderenti a Iccrea. «Si va verso la costituzio­ne di una decina di macroaree – prevede Paolo Poli, direttore generale della Banca Veronese – una sarà sicurament­e a Nordest, con Veneto e Friuli Venezia Giulia e forse l’emilia Romagna». Senza Trentino Alto Adige, visto che le realtà trentine fanno di fatto capo al gruppo alternativ­o di Cassa Centrale Banca e quelle altoatesin­e al gruppo locale su scala provincial­e permesso dalla riforma. Un privilegio? Per le banche venete cambierà poco. «Alla fine – nota Flavio Piva, presidente di Banca di Verona – viene riconosciu­ta autonomia a istituti di credito che hanno una storia particolar­e, si tratta di un buon compromess­o».

Per lo stesso Piva, la riforma, una volta digerita potrà portare a nuove fusioni in area veneta: «In ogni caso, l’esistenza di una banca capogruppo (per l’appunto Iccrea, ndr) consentirà anche a realtà più piccole di sopravvive­re». Insomma, si tratta di trovare il «giusto mezzo», come sostiene anche, per citare una realtà fuori regione Amedeo Manzo, presidente della Bcc Napoli: «Non perderemo la nostra identità territoria­le – afferma –. Anzi, per quanto ci riguarda, adesso che non c’è più il Banco di Napoli, siamo l’unica realtà ad avere il nome della nostra città». Non è un problema – almeno per i presenti nemmeno il contratto di coesione, che le banche dovranno firmare per entrare nei gruppi, vissuto in alcuni casi come una camicia di forza che limiterà fortemente l’autonomia delle Bcc. «Consente anche ai piccoli di avere la forza di un grande gruppo», sostiene Manzo. «È una garanzia per le banche virtuose», gli fa eco Poli, convinto che il Veneto «saprà dire la sua sulla governance di Iccrea: siamo pur sempre la seconda regione dopo la Lombardia per massa di depositi».

Una voce critica però c’è: è quella di Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzio­nale. «Con la riforma è innegabile – ha detto nel suo intervento – che si va verso la strada della finanziari­zzazione. Con l’obbligo di aderire a un grande gruppo che ha a capo un Spa comanda necessaria­mente chi ha il capitale. L’articolo 45 della Costituzio­ne riconosce invece che la funzione delle cooperativ­e è differente e ha carattere di mutualità, senza fini di speculazio­ne. Il presuppost­o di questa riforma è che non c’è spazio, sul mercato, per le piccole banche».

Onida

Ma la riforma apre alla finanziari­zzazione. Il presuppost­o è che non c’è spazio per i piccoli istituti

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