Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Malati di tumore, il software rinviava le visite urgenti
Duecento casi, in seguito 28 pazienti sono morti
C’erano anche 200 malati di cancro tra i 44.660 pazienti ai quali nel 2017 l’usl 3 Serenissima ha cambiato il codice di priorità sulla ricetta per migliorare le liste d’attesa. Avrebbero dovuto essere visti entro 10 giorni e invece hanno dovuto aspettare sei mesi: 28 di loro sono morti. La Guardia di Finanza indaga.
Si aggiunge un nuovo capitolo all’inchiesta aperta dalla Procura di Venezia, su segnalazione del governatore Luca Zaia, in merito al software utilizzato dal 2015 al 2017 dall’ex Usl di Mirano — nel 2016 inglobata dall’usl 3 Serenissima — per cambiare il codice di priorità su 44.600 ricette. E rientrare così nei parametri di attesa imposti dalle Regione per le prestazioni specialistiche. Tra i pazienti che si sono visti ritardare la visita o l’esame diagnostico c’erano anche 200 malati di cancro. Per tutti il medico di base aveva indicato sull’impegnativa il codice B (Breve attesa), che impone di garantire un accertamento entro 10 giorni dalla prenotazione, ma l’usl lo aveva cambiato in P (Programmabile), utilizzato per controlli oggi da erogare entro 60/90 giorni, tempo nel 2015 dilatato però a 180 giorni. Parametro nazionale che solo negli anni successivi la Regione Veneto, l’unica in Italia, ha deciso di dimezzare.
E così i 200 malati oncologici hanno dovuto aspettare sei mesi prima di essere visti. Quando finalmente il momento della visita è arrivato, nel giro di 7-10 giorni sono stati tutti ricoverati e trattati con terapia farmacologica oppure operati. E nonostante ciò 28 di loro sono morti. Ora spetta agli inquirenti capire se ci sia un nesso causale tra il ritardo nell’accesso in ospedale e il decesso per i pazienti più gravi ed eventuali complicazioni o aggravamento del quadro clinico per altri.
La Guardia di Finanza, su incarico del procuratore capo Bruno Cherchi, sta eseguendo accertamenti, sentendo tutte le persone informate sui fatti (personale del Cup, sanitari, dirigenti) ed esaminando la documentazione prelevata all’usl veneziana. Ovvero le cartelle cliniche, le agende del Cup e tutto ciò che concerne l’acquisto e l’utilizzo del software, costato 92.540 euro. Per un’intera giornata le fiamme gialle hanno sentito Francesco Bortolan, informatico dell’azienda Zero che nell’aprile 2017 ha scoperto tutto esaminando l’andamento della ricetta dematerializzata, entrata in vigore il primo gennaio 2017 e inviata dal medico di base non solo all’azienda sanitaria scelta dal paziente per la prestazione ma anche alla Sogei, braccio informatico del ministero dell’economia incaricata del controllo del flusso. Bortolan si è accorto dell’anomalia perché ha rilevato migliaia di ricette «doppie» nell’usl Serenissima: l’originale scritta dal prescrittore e quella corretta dal software. Approfondimenti e la visita degli ispettori inviati dalla Regione hanno poi confermato tutto.
Le prescrizioni alterate sono 44.600, ma solo nel 2017: mancano quelle del 2015 e del 2016, perché allora erano cartacee, quindi il controllo è impossibile. Presumibilmente il numero delle ricette alterate nei due anni mancanti si avvicina alla cifra del 2017, per un totale di circa 150 mila. In un anno Mirano ne produce 119.398, comprese nei 2,8 milioni compilati dall’usl 3 (sono 21 milioni in Veneto). Tra quelle «modificate» figurano 1971 prescrizioni per una prima visita dermatologica; 1600 per una otorinolaringoiatrica; 800 per una ortopedica; 511 per una cardiologica; 672 per una neurologica; 330 per la risonanza magnetica al rachide e 200 per la risonanza alla spalla; 258 per la colonscopia; 300 per l’ecodoppler. Ma finora non erano mai saltate fuori le 200 posizioni dei malati oncologici, eventualità sempre esclusa dal direttore generale dell’usl veneziana, Giuseppe Dal Ben, che per tutto ciò ha sospeso cinque mesi e senza stipendio Stefano Vianello, ex dirigente dell’usl di Mirano responsabile delle liste d’attesa.
Ma c’è di più. «Con il codice di priorità indicato dal medico, 10.024 prime visite sarebbero state garantite fuori dai tempi imposti, relegando a un 12% il tasso di soddisfacimento delle liste d’attesa — ha spiegato Bortolan — .Dopo la riclassificazione la percentuale è salita al 90%, perché solo 1128 prestazioni erano fuori parametro. Lo stesso vale per gli accertamenti diagnostici: prima della modifica del codice, 15.300 sforavano i limiti, per un rispetto del tempo d’attesa limitato al 28% e salito al 92% dopo la riclassificazione e relativo posizionamento extra soglia soltanto di 1286 esami. Tutto ciò ci mette a rischio di inadempienza con il governo su due fronti: l’obbligo di un corretto flusso informativo e il rispetto dei tempi di attesa per il 90% di un set di prestazioni indicative. In gioco c’è un finanziamento integrativo rispetto al Fondo sanitario di 200 milioni di euro». «E’ la conferma che ho fatto la scelta giusta quando ho rifiutato alle opposizioni l’audizione di Dal Ben prima di conoscere l’esito delle indagini — commenta Fabrizio Boron, presidente della commissione regionale Sanità —. Bisogna che siano gli inquirenti a stabilire se vi siano o meno responsabilità a carico di qualcuno. A fronte di colpe evidenti e di condanne, spetterà al presidente Zaia assumere provvedimenti e lui è sempre molto attento sul fronte della sanità».