Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Salta la cessione del gruppo di Vittorio Veneto
La guerra di Trump alla Cina blocca l’affare Permasteelisa
L’accordo per il passaggio di proprietà era stato raggiunto ben 15 mesi fa: Permasteelisa, multinazionale delle costruzioni basata a Vittorio Veneto, sarebbe stata ceduta ai cinesi di Grandland per 467 milioni di euro. Ma il veto opposto all’operazione dall’amministrazione americana (Permasteelisa ha 4 stabilimenti negli Usa), nell’ambito della guerra commerciale dichiarata dal presidente Trump alla Cina, ha fatto saltare la cessione: Permasteelisa rimane nel gruppo Lixil.
Progetto abortito, Permasteelisa rimane ai giapponesi di Lixil perché l’amministrazione di Donald Trump ha proibito il passaggio di proprietà della società, e dunque dei suoi stabilimenti americani, ai cinesi di Grandland.
Il dietrofront arriva a ben 15 mesi dall’annuncio dell’accordo fra il colosso dell’edilizia di Tokyo, che detiene il controllo dell’azienda veneta, e la società di progettazione architettonica di Shanzhen, in base al quale il gruppo di Vittorio Veneto, acquistato dai giapponesi nel 2011, avrebbe dovuto essere ceduto per 467 milioni di euro. Decisivo, nello stop alla vendita, è risultato alla fine il mancato nulla osta opposto dalla Commissione per gli investimenti esteri negli Usa (Cfius). E visto che i quattro insediamenti di Windsor, Chicago, New York e Minneapolis di Permasteelisa Nord America realizzano da soli il 40% degli 1,3 miliardi di ricavi del gruppo, è ovvio che l’ostacolo non consente alternative.
Fino a oggi Lixil aveva ottenuto il via libera alla cessione dalle autorità corrispondenti di Pechino e di Tokyo, oltre che dell’antitrust italiana. Ma diventano inutili le risposte degli altri Paesi del mondo in cui Permasteelisa opera, dall’europa al Medio Oriente, se l’america dice no.
Un aspetto positivo, a guardare la vicenda con maggiore attenzione, comunque si può trovare. Lo scorso anno, guidata dall’amministratore delegato Kinya Selo, Lixil aveva avviato sin dall’inverno attraverso la banca londinese Barclays ricognizioni sui mercati per liberarsi dell’insegna trevigiana (pagata nel 2011 570 milioni, un prezzo più alto di quanto concordato poi con Grandland), ritenuta non più strategica alle proprie linee di crescita. Permasteelisa aveva richiamato l’interesse di fondi di equity, e si parlò di Lonestar e Alpha che avrebbero offerto non più di 350 milioni. Poi si affacciò l’investitore industriale e la trattativa fu condotta in esclusiva con Grandland, fino all’annuncio di agosto. Da poche settimane, tuttavia, il top manager alla guida di Lixil è cambiato e il nuovo Ad, Yoichiro Ushioda, al contrario del suo predecessore, sembra molto più interessato a tenersi stretto l’asset di Vittorio Veneto. E benché l’ad di Permasteelisa, Riccardo Mollo, lo scorso anno avesse salutato con entusiasmo il previsto passaggio a Grandland, immaginando che con il mercato cinese il business avrebbe potuto «facilmente triplicare o addirittura quadruplicare», adesso pare soddisfatto di rimanere con Lixil. Il Gruppo di Tokyo, dice, «è pienamente impegnato nel supportare e lavorare con Permasteelisa per ridare all’azienda solide basi che ne favoriscano la crescita. Concluso questo periodo di incertezza, lavoreremo intensamente con i nostri azionisti per consolidare la nostra posizione di leadership nel mercato».
Così il problema si trasforma in opportunità e adesso non rimane che dedicare i prossimi due o tre anni, come assicurano i giapponesi, allo «sviluppo di una strategia per supportare la crescita a lungo termine di Permasteelisa come parte di Lixil».
Il caso è a suo modo esemplare. Per Maurizio Castro, manager che è stato impegnato in varie aziende multinazionali, quanto accaduto «è la prova che la geopolitica è tornata a irrompere negli affari. Cioè la globalizzazione non è soltanto business e bisogna tenere conto che anche le attività industriali hanno un loro ruolo nel posizionamento di un Paese sullo scacchiere internazionale». Cioè, nell’affare Lixil-grandland, per la Casa Bianca la tensione dei rapporti con i cinesi pesa più di ogni altra considerazione sul piano degli affari. «Questo ci ricorda – conclude Castro – che non è possibile una politica industriale sganciata da scelte chiare di politica estera».
Geopolitica Castro: «Non è più possibile una politica industriale sganciata dalla politica estera»