Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Tinto e i fratelli, sentenza chiude la faida dei Brass

- Di Andrea Priante

La Cassazione, con una sentenza di due giorni fa, ha posto fine alla causa decennale che divideva i familiari del regista Tinto Brass.

Dopo dieci anni di cause, la Cassazione ha posto fine alla «guerra dei Brass», quella che divideva il regista Tinto, i suoi fratelli e alcuni nipoti.

In ballo c’era quel che resta dell’eredità di nonno Italico Brass - celebre pittore e collezioni­sta d’arte, amico di grandi personaggi del Novecento, come il poeta Ezra Pound – morto a Venezia nel 1943. La faida familiare si era aperta dopo la morte di Carla Curletti, vedova di Alessandro Brass – il figlio dell’artista, noto avvocato che a sua volta aveva contribuit­o a rinforzare i beni di famiglia - che aveva lasciato un patrimonio del valore di alcuni milioni di euro fatto di arredi pregiati, suppellett­ili e, soprattutt­o, dipinti: decine di tele firmate da Italico, ma anche quadri del Settecento come «La riunione dei quaccheri» di Alessandro Magnasco detto «il Lissandrin­o», o «Paesaggio con marina» di Marco Ricci, fino a un’opera di Giovanni di Niccolò Mansueti, allievo di Gentile Bellini.

A complicare la gestione dell’eredità, la comparsa di diversi testamenti l’ultimo dei quali, del 2000, è stato al centro della querelle che vedeva da un lato Andrea Brass e dall’altro i suoi fratelli Tinto, Maurizio e i figli di Italico (si chiamava come il padre), morto alcuni anni fa.

Andrea premeva per la validità delle disposizio­ni firmate dalla madre, che prevedevan­o di lasciare «la miglior parte» della collezione pittorica a un ente che il figlio di Carla Curletti individuav­a nelle Gallerie dell’accademia. Il resto della famiglia Brass, invece, premeva per la nullità di quest’atto mantenendo invece in vigore il testamento precedente, che distribuiv­a il patrimonio tra gli eredi, con un occhio di riguardo nei confronti di alcuni parenti che la madre dei quattro fratelli aveva sentito pù vicini negli ultimi anni di vita.

La «guerra dei Brass» era culminata nel 2008 con la decisione del tribunale di Venezia di mettere sotto sequestro tutti i beni contenuti nel palazzetto di famiglia a San Vio, nel sestiere di Dorsoduoro a Venezia. Un intero patrimonio «congelato», quindi. E così è rimasto fino a ora, con le opere d’arte che dieci anni dopo sono ancora custodite nei magazzini.

Di udienza in udienza - e di ricorso in ricorso - la causa si è trascinata fino a due giorni fa, quando la Cassazione ha pubblicato la sentenza che mette finalmente fine alla faida. Già nel 2016, la corte d’appello di Venezia aveva dato torto ad Andrea Brass, dichiarand­o la nullità della disposizio­ne testamenta­ria che favoriva le Gallerie. Si era quindi rivolto alla Suprema Corte perché ribaltasse la decisione e a opporsi erano rimasti i nipoti (nel frattempo era deceduto anche Maurizio Brass), mentre Tinto aveva preferito non proseguire la vertenza. La decisione, comunque, premia anche il regista, visto che i giudici hanno rigettato il ricorso confermand­o quanto stabilito dal tribunale veneziano, condannand­o inoltre Andrea Brass a pagare le spese.

«È stata una causa complicata e dolorosa» ammette l’avvocato Sergio Camerino, che nel 2008 presentò la richiesta di sequestro conservati­vo dei beni e che ha sempre seguito la vicenda per conto della famiglia di Maurizio Brass. «Questa brutta storia si sarebbe potuta concludere già da molto tempo, purtroppo si è trascinata per dieci anni. Ora, almeno, gli straordina­ri dipinti di Italico Brass verranno dissequest­rati e divisi, andando quindi a chi ne ha diritto».

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Il registaTin­to Brass, il maestro del cinema erotico, compare nella sentenza della Cassazione per la lite ereditaria

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