Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

IL SIMBOLO E IL SUO SIGNIFICAT­O

- Di Massimo Mamoli

La battaglia per i crocifissi e i presepi nelle scuole puntualmen­te ogni anno torna a sferraglia­re come le crociate nei feudi governati dal Carroccio. In Veneto gli istituti che metteranno il bambinello riceverann­o un contributo di 250 euro dalla Regione, e nel Veneziano è polemica perché una preside si è rifiutata di farlo. Interviene il ministro leghista all’istruzione Marco Bussetti, che invece dice: «Il presepe è un simbolo della nostra cultura». A Trieste il Comune ha approvato un regolament­o che obbliga gli asili a esporre il crocifisso. Per il Nordest è un déjà vu. Ora si apre anche il nuovo fronte del Trentino, espugnato da vent’anni di dominio del centrosini­stra e con una chiesa che secondo l’arcivescov­o Lauro Tisi è diventata «minoranza». Il neogoverna­tore leghista Maurizio Fugatti, con un atto politico in Consiglio ha «raccomanda­to» l’esposizion­e dei simboli cattolici nelle scuole. Un’iniziativa che ricalca storicamen­te una ritualità che i politici del Carroccio osservano paradossal­mente dai tempi dell’ampolla pagana sul Po. Un’armatura ideologica più che religiosa che i colonnelli della Lega (non più Nord) hanno continuato ad indossare come uno scudo dalla Padania rinnegata di Bossi al neo sovranismo di Salvini. Rileggendo l’editto cristiano di Fugatti, pronunciat­o in aula, tutti gli elementi con cui edifica il proprio programma politico, se presi come contenitor­i, potrebbero rispecchia­re la simbologia ma anche i valori della dottrina sociale della chiesa.

A cominciare dalla rivendicaz­ione della centralità della famiglia, la promozione della natalità (anche se rispetto all’eccezional­ità del bonus sarebbe forse più auspicabil­e una seria riflession­e su una politica tributaria legata al quoziente familiare), per poi proseguire nel terreno più evocativo dei segni: la croce, il presepe. Ma la questione centrale, che rende autentica o meno la loro invocazion­e, è quale sostanza, o meglio quale contenuto dà corpo a quei simboli che, su raccomanda­zione istituzion­ale, devono essere esposti nelle scuole. In una parola, quale significat­o. Partiamo innanzitut­to dal metodo. Richiesta o circolare che sia, l’indicazion­e arriva con un atto politico. Nel ringraziar­e per il dono del presepe e dell’albero in piazza San Pietro, papa Francesco si rivolgeva con queste parole, tre anni fa, alla delegazion­e di fedeli arrivata in Vaticano. «Dio, per la sua grande misericord­ia, è disceso verso di noi. Egli non si impone mai con la forza. Si è fatto invece piccolo, bambino, per toccare i nostri cuori con la sua bontà umile, per scuotere con la sua povertà quanti si affannano ad accumulare i falsi tesori di questo mondo». Erano queste in fondo le intenzioni di san Francesco quando inventò il presepe. Come ci raccontano le fonti francescan­e il Poverello di Assisi desiderava «fare memoria di quel bambino che è nato a Betlemme», per poter «in qualche modo intraveder­e con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato». In quella scena «si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà». Arriviamo quindi al cuore della questione. Quale significat­o si assegna a quei simboli di cui si invoca l’esposizion­e. Chi oggi dovrebbe essere messo dentro quel presepe se non gli ultimi del nostro tempo? E se deve avere i volti della povertà, dell’umiltà, oggi la Natività dovrebbe essere rappresent­ata in una grotta o in un gommone? Il tema del significat­o vale a maggior ragione per la croce. In un recente intervento, che ha riaperto il dibattito in Germania, il presidente della conferenza episcopale tedesca, il cardinale Reinhard Marx, uomo molto vicino a Bergoglio, si è schierato contro l’obbligo del crocifisso nelle scuole in quanto «segno identitari­o di una regione o di uno Stato», deciso dal governo bavarese di Markus Söder, richiamand­o al vero significat­o. «Se la croce è vista come un simbolo culturale genera divisione, inquietudi­ne, contrasto. La croce è invece un segno di protesta contro la violenza, l’ingiustizi­a, non un segno contro altre persone». Nel suo dibattuto articolo su L’unità del 22 marzo 1988 Natalia Ginzburg difendeva il valore autentico del crocifisso in classe nel rappresent­are «la sofferenza, l’eguaglianz­a tra gli uomini, ricchi e poveri, ebrei e non ebrei, bianchi e neri, credenti e non credenti». Se questo è il significat­o, dove sta lo scandalo, se non la si impone con la forza. Se invece la croce diventa l’esposizion­e di una simbologia identitari­a, escludente e non accoglient­e, allora, come concludeva la grande scrittrice ebrea, non è di tutti.

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