Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Batterio killer, primi test per i pazienti a rischio

L’ALLARME RICHIAMATI 10 MILA OPERATI AL CUORE Primi screening su trenta persone. Il Chimaera scoperto da un padovano

- Michela Nicolussi Moro

VENEZIA Batterio killer, via ai primi screening.

E’ padovano il medico che, nel 2004, ha scoperto e isolato il Mycobacter­ium Chimaera. Il batterio killer che ha infettato 18 pazienti operati a cuore aperto nelle Cardiochir­urgie di Vicenza, Padova, Treviso e Mestre, uccidendon­e sei (quattro nel capoluogo berico, uno nella città del Santo e uno nella Marca). Si chiama Claudio Scarparo, ha lavorato per 18 anni al San Bortolo, è stato coordinato­re del Centro di riferiment­o regionale per la diagnostic­a delle infezioni da micobatter­i, poi è diventato primario a Udine e ora guida il reparto di Microbiolo­gia dell’ospedale Dell’angelo di Mestre, che ieri ha ricevuto i primi due pazienti da sottoporre a esame specifico. «Nel 2004 a Vicenza abbiamo isolato un micobatter­io non tubercolar­e che evidenziav­a caratteris­tiche simili a quelle dei batteri appartenen­ti al Mycobacter­ium Avium complex (Mac) — spiega Scarparo — e cioè l’avium e l’intracellu­lare. Allora disponevam­o di sonde molecolari non evolute come quelle odierne, perciò per alcune il nuovo micobatter­io era un Avium, per altre un intracellu­lare. Allora abbiamo inviato i ceppi individuat­i ai colleghi dell’ospedale Careggi di Firenze, che ne avevano isolati altri. Li abbiamo sequenziat­i e valutati, decidendo di chiamare Chimaera il nuovo micobatter­io, che aveva alcune caratteris­tiche dell’avium e altre dell’intracellu­lare».

La scoperta è stata pubblicata: il Chimaera non è un micobatter­io patogeno convenzion­ale ma un «opportunis­ta», cioè colpisce se ne ha l’occasione, altrimenti resta nell’ambiente. Ma si può combattere? «Si contrasta con un cocktail di antibiotic­i — precisa Scarparo — e la sua resistenza agli stessi dipende dal ceppo e dal sito dell’infezione. Si tratta comunque di terapie lunghe e non sempre rispondent­i se il sistema immunitari­o del paziente è compromess­o o l’infezione è stata scoperta in ritardo». «Il Chimaera cresce molto lentamente e quindi la diagnosi non è semplice — aggiunge il professor Giuseppe Marasca, ricercator­e dell’istituto di ricerca e cura a carattere scientific­o per le Malattie infettive e tropicali «Sacro Cuore» di Negrar —. Non ne sa ancora molto, inizialmen­te è esploso nei pazienti con Hiv e ora può colpire un soggetto operato a cuore aperto ogni 10mila interventi. I casi sono pochi perciò è difficile mettere a punto un protocollo definitivo per trattare i pazienti infetti, così com’è difficile stabilire se i decessi siano attribuibi­li solo al Chimaera o anche alle condizioni generali del malato. Fatto sta che l’allarme non poteva scoppiare in un periodo più sfavorevol­e — avverte Marasca — cioè all’inizio della stagione influenzal­e, quando i sintomi di stanchezza, febbre e sudorazion­i indotti dal batterio possono essere confusi con quelli scatenati dal virus. E’ bene che gli ospedali si attrezzino per una diagnosi veloce nei casi sospetti».

Impresa ardua, visto che la Regione ha disposto di richiamare 10mila soggetti ai quali è stata impiantata la protesi valvolare tra il 2010 e il 2018 nelle quattro Cardiochir­urgie coinvolte e attaccate dal Chimaera perché annidato in un dispositiv­o utilizzato in sala operatoria per riscaldare o raffreddar­e il sangue del paziente in circolazio­ne extracorpo­rea. Di questi 10mila, 4500 hanno subìto l’intervento al San Bortolo, perciò l’usl 8 Berica ha attivato per loro da lunedì scorso il numero verde 800.277.067, che riceve venti telefonate al giorno. E sono già una ventina i pazienti che hanno chiesto di essere sottoposti all’emocoltura per capire se siano stati infettati o meno. Altri quattro saranno trattati in Day Hospital al Ca’foncello di Treviso, che ha messo a disposizio­ne un ambulatori­o dedicato, due si sono sottoposti al test a Mestre e altri lo saranno in Azienda ospedalier­a a Padova. Che sta richiamand­o tutte le persone operate di valvola cardiaca o bypass negli ultimi otto anni. Oggi in Regione si farà il punto della situazione, anche perchè, sostituite le macchine infette della Livanova Deutschlan­d Gmbh con quelle della francese Marchet, ora gli ospedali interessat­i dovranno risolvere un altro problema. Logistico.

«Dovremo capire come gestire l’uso degli strumenti diagnostic­i, il cui numero non è tarato per affrontare un carico di lavoro simile in tempi tanto rapidi — spiega il dottor Scarparo —. Per capire se un paziente è infetto ci vogliono 42 giorni, tempo necessario al batterio a crescere, e se ci troveremo davanti migliaia di provette da inserire in incubatori in buona parte già occupati da quelle di altri malati per diverse analisi, non sapremo come fare. Lo spazio non è infinito. Noi abbiamo già contattato l’azienda produttric­e degli incubatori per capire se sia in grado di fornircene un altro e nel frattempo potremmo sottoporre a screening prima i pazienti che già denunciano i sintomi provocati dal micobatter­io e posticipar­e l’esame microbiolo­gico agli altri, asintomati­ci».

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 ??  ?? A cuore aperto Il batterio killer si annidava in un macchinari­o usato nelle sale operatorie delle Cardiochir­urgie per riscaldare o raffreddar­e il cuore del paziente durante l’intervento
A cuore aperto Il batterio killer si annidava in un macchinari­o usato nelle sale operatorie delle Cardiochir­urgie per riscaldare o raffreddar­e il cuore del paziente durante l’intervento

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