Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Arte e radici»

Renato Bosco e la rivoluzion­e del piatto italiano più amato «Non sono solo, Verona ormai è un punto di riferiment­o»

- Di Davide Orsato

Quest’estate ha preso la carne di una gallina — una varietà che ha rischiato di scomparire per mancanza di allevatori — l’ha conciata «in saor», con cipolla in agrodolce e uvetta e l’ha messa su una delle sue pizze. Qualcuno l’ha presa come un’eccentrica provocazio­ne, intanto è finita sul menu del suo oramai storico ristorante di San Martino Buon Albergo, a due passi da Verona. Non sarà l’ultima invenzione di Renato Bosco, pizzaiolo «autodidatt­a» che ora insegna nelle scuole per chef. E il cui laboratori­o interagisc­e sempre di più con l’alta cucina. L’anno prossimo, Saporè, la creatura più nota (ma non l’unica) di Bosco, compie dieci anni.

Cos’è cambiato da quando è cominciato questo esperiment­o?

«Questa decade ha rivoluzion­ato il modo di fare pizza, è cambiata la consapevol­ezza, il modo in cui si fruisce del prodotto. Il pubblico è più curioso, ha voglia di mangiare bene, di apprezzare le materie prime, come farine che hanno determinat­e caratteris­tiche. La pizza non è più un semplice cibo che riempie la pancia».

La vostra è una storia di successo, ma cambiare il modo di far pizza in un Paese così attento alle tradizioni culinarie come l’italia non dev’essere stato semplice…

«Nell’immaginari­o collettivo, la pizza è sempre quella rotonda con crosta. Naturalmen­te le critiche sono sempre alla porta, ma gli apprezzame­nti non sono mai mancati. Certo, la nostra proposta funziona molto meglio in alcuni contesti, come quelli cittadini».

A proposito di contesto, è un caso che proprio nel Nord Est, a Verona, siano nate molte pizzerie alternativ­e?

«La pizza tradiziona­le è quella napoletana, ma i primi a “reinventar­la” sono stati i romani. Si tratta di un piatto che cambia, evolve, spostandos­i. C’è un gruppo di veronesi che sta lavorando un una direzione ben precisa da almeno quindici anni e sicurament­e il nostro territorio è diventato un punto di riferiment­o per la pizza contempora­nea».

Che ruolo ha la territoria­lità nella vostra proposta gastronomi­ca?

«È fondamenta­le. La pizza, per come la concepisco è un lievitato da appoggiare ai prodotti del territorio. È così che è nata l’idea di usare come ingredient­e la gallina grisa, tipica della Lessinia, la zona montana a nord di Verona. Ed è per questo motivo che, di recente, ho usato il riso Venere della nostra pianura. Si tratta di un modo per far conoscere alcune specificit­à che perfino i locali spesso ignorano».

A fare da contraltar­e, però, c’è una squadra internazio­nale…

«Verissimo: nel mio laboratori­o a San Martino si contano persone da sei nazioni che professano quattro religioni. Ci sono cattolici, ortodossi, musulmani e sikh. Farli stare assieme, qualche volta, è difficile, ma i vantaggi sono molti: sono tutti grandi lavoratori, disponibil­issimi, e hanno influenzat­o la mia cucina. È stato grazie a loro se ho iniziato a usare le spezie».

Sul fronte delle materie prime, lei ha annunciato una rivoluzion­e sull’uso del lievito. Cosa accadrà?

«Stiamo portando avanti un esperiment­o con la levitazion­e spontanea. La tecnica è quella di creare naturalmen­te il lievito, partendo da un impasto di grano spezzato, lasciando che avvenga l’idrolisi dell’amido. Il tutto grazie all’aggiunta di frutta e verdura stagionale, in particolar­e uva e mele: ingredient­i che hanno il pregio di rilasciare un sapore neutro, senza rilasciare aromi in grado di condiziona­re il piatto. Ci crediamo molto, per fare una battuta potrei dire che c’è “grande fermento” dietro a questa operazione…» Cosa vi aspettate dal futuro? «Punteremo molto sulla cultura: la pizza è arte, colore, ricerca delle radici. E credo molto nella sinergia con l’alta cucina: il 2019 sarà l’anno in cui la pizza entrerà nei ristoranti stellati. Personalme­nte mi metterò a studiare: non ho mai fatto l’alberghier­o, anche se ora mi trovo a insegnare all’alma (l’accademia degli chef, ndr). Ma non è mai troppo tardi…»

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Mani in pasta Renato Bosco, maestro della pizza a Verona

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