Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il Anche una sfida nata in carcere
ANatale c’è più gusto ad essere più buoni. E più buoni lo sono davvero, i panettoni della «Pasticceria Giotto dal carcere di Padova», realizzati dai detenuti della casa di reclusione Due Palazzi e stabili da una decina d’anni nella top ten del Gambero rosso. Il risultato è frutto di un’intuizione felice, che risale al 2004 e porta la firma della cooperativa Work Crossing: «Tutto è iniziato con un progetto sperimentale sulla formazione nell’ambito della ristorazione, che ha coinvolto i detenuti di dieci carceri italiane nella preparazione dei pasti in mensa — racconta Matteo Marchetto, il presidente della coop —. Nel 2005, dopo aver avviato l’attività di pasticceria nella nostra sede, abbiamo deciso di portarla dentro al carcere pensando alla validità del progetto dal punto di vista sociale. In fondo la Costituzione dice che la detenzione deve garantire un trattamento umano e un percorso rieducativo, tanto che la legge consente alle aziende di entrare in carcere e di assumere i detenuti impiegati nella produzione».
La proposta non ha incontrato grandi resistenze: «Avendo visto come gestivamo la cucina, la direzione del carcere ci ha dato subito fiducia — ricorda Roberto Polito, direttore commerciale della pasticceria —. Negli Stati Uniti le lame sono legate ai taglieri per evitare che i detenuti le usino contro gli altri, da noi invece si svolge tutto all’insegna della massima fiducia e i detenuti possono lavorare senza essere scortati uno ad uno dalle guardie carcerarie. E poi in pasticceria ci sono meno utensili pericolosi che in cucina». A spaventare i responsabili della cooperativa non era tanto la questione della sicurezza, quanto un altro dubbio: i clienti compreranno ancora dei prodotti realizzati in un ambiente come il carcere? «È un pensiero che ci ha fatto titubare, anche perché poteva porre dei problemi sull’igiene e sulla qualità — confessa Marchetto —. Per togliere ogni dubbio e alzare il livello della qualità, abbiamo trasferito certificazioni e protocolli in carcere. E alla fine è andata bene».
Oggi infatti il panettone del Due Palazzi è distribuito in enoteche e gastronomie in tutta Italia, nei due punti vendita monomarca Pasticceria Giotto di Padova e online sul sito www.idolcidigiotto.it (anche nel giro di 24-48 ore), soprattutto come regalo di Natale ai dipendenti delle aziende. Il lavoro impegna stabilmente una quarantina di detenuti, di cui 35 assunti e cinque tirocinanti, anche se tra scarcerazioni e trasferimenti in altri penitenziari bisogna considerare un turn over annuale del 30%. Dal 2005 a oggi quindi il progetto ha coinvolto circa 150 detenuti, tutti assunti con contratti part time da quattro ore al giorno per favorire la massima partecipazione. A guidare i passi dei detenuti che vogliono mettere le mani in pasta sono sette dipendenti della coop: il responsabile, l’addetto alla qualità, l’addetto alla logistica, l’addetto alle materie prime e tre maestri pasticceri. Il percorso di inserimento lavorativo segue i dettami della formazione continua e può durare fino a nove mesi: «Prima c’è il colloquio, poi la verifica dell’idoneità al lavoro, le visite mediche, il tirocinio con valutazione bimensile e la valutazione psicologica — riassume Polito —. Il confezionamento e la spedizione dei prodotti si svolgono in un blocco di capannoni separato dagli edifici con le celle, dove i detenuti sono dai dipendenti».
Per quanto riguarda il menu, la novità del 2018 è il panettone con semicanditi di pesche, albicocche e fiori di lavanda. «Dopo aver fatto breccia con il primo panettone, abbiamo puntato sulle ricette originali per appassionare i detenuti e abbiamo ampliato la nostra gamma fino a proporre otto gusti — spiega Polito —. C’è il panettone Al Kabir con le uvette ammostate nel moscato di Pantelleria di Donnafugata, quello al fior d’arancio col passito dei Colli Euganei e poi quelli alla birra, al cioccolato e ai fichi. Le ultime nate sono le praline al cioccolato, con una gamma che spazia dai gusti classici a quelli più originali come grappa e polenta o miele e rosmarino. Infine sforniamo biscotti, torroni, grissini e brioche affiancati che ogni giorno vengono servite fresche a colazione in molti bar di Padova, compresi i due dell’ospedale frequentati da dottori e infermieri». Dietro al successo c’è un lavoro certosino: «Bisogna partecipare alle fiere enogastronomiche, farsi conoscere e curare il packaging per offrire una idea regalo appetibile — dice Marchetto —. Provare per credere è uno slogan sempre valido: quando il pregiudizio del carcere viene superato, il nome resta impresso e il prodotto diventa virale. In quello che facciamo non c’è nessuna forma di assistenzialismo, solamente la serietà imprenditoriale che ci spinge a stare sul mercato sulle nostre gambe: i riconoscimenti del Gambero rosso si basano su degustazioni alla cieca e quindi sono arrivati per la qualità del prodotto, senza alcun tipo di influenza sulle finalità sociali del progetto». Ma la soddisfazione più grande è un altra: «Sì, ci sono ex detenuti che una volta usciti di prigione hanno aperto una pasticceria e ora vivono di quello».
Sì, ci sono ex detenuti che, usciti, hanno aperto una pasticceria e ora vivono di quello