Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Batterio killer, dopo Vicenza anche Padova apre un’inchiesta

INFEZIONE LETALE SI MUOVE UN’ALTRA PROCURA

- Polese

Anche la procura di Padova, dopo quella di Vicenza, ha aperto un fascicolo sul batterio killer che tra il 2010 e il 31 dicembre 2017 ha provocato otto decessi, di cui sei in Veneto. L’inchiesta padovana riguarda il decesso di un paziente 40enne di Verona, operato in cardiochir­urgia nel 2014.

La procura di Padova ha aperto un fascicolo sul batterio killer, il Mycobacter­ium Chimaera che tra il 2010 e il 31 dicembre 2017 ha provocato otto decessi, sei in Veneto e due in Emilia Romagna, e ha infettato 18 pazienti. Tra i deceduti infatti risulta un veronese di quarant’anni che nel 2014 è stato operato nel reparto di cardiochir­urgia dell’ospedale di Padova. Ora spetta ai carabinier­i del Nas, coordinati dal pubblico ministero Benedetto Roberti e dal procurator­e aggiunto Valeria Sanzari, circoscriv­ere il perimetro dell’indagine raccoglien­do quanto più materiale possibile sia sulla persona deceduta che su altri pazienti sottoposti al trattament­o con la macchina per la circolazio­ne extracorpo­rea contaminat­a.

L’inchiesta procederà in parallelo con quella della procura di Vicenza avviata a novembre dopo il decesso del chirurgo Paolo Demo, di 66 anni, sottoposto a un intervento al cuore, contaminat­o e ucciso dal batterio lo scorso 2 novembre. Al momento non risultano aperte inchieste a Treviso, dove nel gennaio scorso morì Gianni De Lorenzi, 62 anni, ex assessore del Comune di Nervesa della Battaglia operato al cuore nel 2011 al Ca’ Foncello di Treviso e deceduto per quelle che sembravano delle complicazi­oni.

Intanto la Regione ha deciso di richiamare 10mila pazienti che dal 2010 al 2017 sono stati operati al cuore nelle chirurgie di Padova, Vicenza, Treviso e Mestre: i carabinier­i del Nas si sono messi al lavoro in stretto contato con l’azienda ospedalier­a di Padova, e non è escluso che il paziente deceduto, al quale non era stata fatta l’autopsia in prima battuta, possa essere riesumato per eseguire un’indagine più approfondi­ta. Il fascicolo aperto dalla procura patavina è un modello 45, che mette insieme tutti gli «atti relativi» alla vicenda, al momento senza indagati. La decisione di approfondi­re il caso in modo ufficiale arriva dopo settimane di colloqui tra il capitano del Nas Carlo Passarelli e il procurator­e aggiunto Valeria Sanzar.

Stando a quanto si apprende il macchinari­o contaminat­o, ovvero il dispositiv­o per ipotermia modello Stockert T3 della britannica Livanova, è stato ritirato dalla sala operatoria dopo le notizie della contaminaz­ione dal batterio, ed è stato sostituito con macchinari più nuovi. A svelare i retroscena della contaminaz­ione del batterio killer è stata l’ispezione della Regione: a quanto pare qualcuno sapeva che questa macchina stava diffondend­o un microrgani­smo micidiale. Sembra infatti che il ministero della Salute fosse stato messo al corrente di una ispezione della Fda (Food and drug administra­tion, l’agenzia per il controllo di farmaci e dispositiv­i medici in Usa) in Germania, dove viene prodotto il macchinari­o finito nel mirino. L’ente americano intervenne dopo aver accertato che alcuni decessi avvenuti negli States erano dovuti proprio alle macchina per il riscaldame­nto/raffreddam­ento del sangue che si usa per gli interventi a cuore aperto. Per mettersi al sicuro la Livanova (il cui brevetto è registrato a Londra) avrebbe spedito a tutti gli ospedali un corposo richiamo alla manutenzio­ne dell’impianto, in questo modo la responsabi­lità del malfunzion­amento ricadrebbe sulle aziende ospedalier­e. Pare che dell’intervento della Fda il Ministero fosse stato informato, tuttavia in una recente comunicazi­one il ministro della Salute Giulia Grillo ha fatto sapere di aver incaricato l’istituto Superiore di Sanità di raccoglier­e dati sul batterio a partire dal 2016 e di avere avvisato le aziende ospedalier­e della necessità di seguire precisi protocolli di pulizia e disinfezio­ne. La vicenda è complessa e solo un’indagine approfondi­ta sarà in grado di stabilire con precisione le responsabi­lità di decessi e infezioni. Non è escluso a breve un vertice fra le procure coinvolte per mettere a punto una comune linea per l’indagine penale. Al momento, di fronte ai timori dei pazienti e alla rabbia dei famigliari, resta solo la laconica risposta di un investigat­ore: «Ci vorrà tempo, siamo solo all’inizio».

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