Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il boomerang sul lavoro

- Enrico Franco

Chi esalta le gabbie rigide, evidenteme­nte non conosce come ragioni un’azienda sana. Il manager capace sa che la forza dell’impresa risiede per buona parte nel valore del proprio personale: nessuno ha interesse a perdere un bravo collaborat­ore (sul quale in genere ha investito in termini di formazione), tuttavia in un contesto economico ogni giorno più incerto non sempre può legarlo a sé in via definitiva. È però tra i suoi «precari» che pescherà appena possibile, ad esempio per sostituire chi va in pensione. Il governo sostiene che due anni sono un tempo sufficient­e per capire se un lavoratore sia necessario, ma non è così, anche perché in realtà per non correre i rischi e non soggiacere a procedure complicate, molti datori rispettano il primo limite stabilito dalla legge (un anno) e non si imbarcano nell’avventura della richiesta di proroga. Il risultato, dunque, molto probabilme­nte sarà di allargare la fascia di occupati di breve durata. L’illusione di poter risolvere le croniche storture del sistema italiano – non certo create in pochi mesi dall’attuale governo – con un colpo di bacchetta magica, ossia con un decreto dal nome affascinan­te, sarà perciò pagata soprattutt­o da chi dovrebbe essere aiutato. Certo, ci rimetteran­no anche le aziende, costrette a limitare la propria attività o, appunto, ad adattarsi a qualche rimedio per non accettare rigidità potenzialm­ente foriere di problemi di tenuta. Il decreto, in tutta evidenza, rivela una concezione negativa dell’impresa, ritenuta intrinseca­mente vocata allo sfruttamen­to dei dipendenti, ignorando gli infiniti esempi di imprendito­ri che hanno condiviso con la propria squadra (talvolta addirittur­a con il territorio) i risultati ottenuti. Se invece si partisse dall’assunto di un tessuto sano con poche o tante mele marce, si cercherebb­e di colpire queste ultime e non l’intero universo. Insomma, come sempre le scorciatoi­e non portano mai lontano: per rilanciare l’occupazion­e, occorre favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, incentivar­e le assunzioni, tutelare economicam­ente chi è disoccupat­o e aiutarlo a trovare un impiego. E magari ridurre i costi impropri che le aziende devono sopportare (ad esempio quelli indotti dagli eccessi di burocrazia o dalle inadeguate­zze delle infrastrut­ture italiane) in modo di poter destinare maggiori risorse alle buste paga.

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