Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Assolto il carabinier­e che uccise Guerra «Non ci sono reati»

Nel 2015 la fuga di Guerra finì in tragedia. Il giudice: non è reato. La madre: ucciso una seconda volta

- Roberta Polese

«Non c’è stato reato». Così ha deciso il giudice del processo per la morte di Mauro Guerra, il 32enne di Carmignano Sant’urbano ucciso da un colpo di pistola sparato da uno dei carabinier­i che lo inseguiva, il pomeriggio del 29 luglio 2015, per eseguire un trattament­o sanitario obbligator­io. La madre: «Sparto a mio figlio un’altra volta».

Assolto perché il fatto non costituisc­e reato. Il maresciall­o Marco Pegoraro, da tre anni sotto accusa per aver sparato al 32enne Mauro Guerra il 29 luglio 2015 a Carmignano Sant’urbano (Padova), è uscito ieri dal tribunale di Rovigo a testa alta, mentre la famiglia del giovane ucciso gridava tutta la sua disperazio­ne, con la promessa che non sarebbe finita qui.

«Oggi hanno sparato per la seconda volta a mio figlio. Con questa sentenza i carabinier­i sono legittimat­i a uccidere», ha detto in aula Giusibusin­aro, la madre di Guerra.

La sentenza di assoluzion­e è arrivata dopo una lunga giornata, cominciata con la requisitor­ia del procurator­e capo Carmelo Ruberto che ha chiesto l’assoluzion­e dell’imputato, facendo subito intendere la piega che avrebbe preso il processo.

Marco Pegoraro sparò a Mauro Guerra, 32 anni, ex parà laureato in economia, perché il giovane stava picchiando un altro carabinier­e, nel tentativo di liberarsi dalla pressante richiesta dei militari di sottoporsi a un trattament­o sanitario obbligator­io non autorizzat­o né dal sindaco né da un giudice.

La morte del giovane avvenne nel pomeriggio del 29 luglio del 2015. La ricostruzi­one di quel giorno è stata al centro di un forte dibattito mediatico provocato dalla trasmissio­ne Chi l’ha visto?, che ha mostrato in anteprima i video girati dai carabinier­i quel pomeriggio, fino agli spari avvenuti nei campi. Mauro era giovane e forte, aveva un corpo massiccio, allenato da anni di bilancieri nel cortile di casa. Qualche giorno prima era andato dai carabinier­i a parlare della sua volontà di fare una manifestaz­ione contro gli islamici. L’insistenza di Mauro sulla questione del corteo aveva indotto i carabinier­i a pensare che il giovane, conosciuto in paese e con un carattere esuberante, fosse ossessiona­to dalla «lotta agli infedeli». La mattina del 29 luglio il maresciall­o Pegoraro disse a Mauro che sarebbe stato meglio farsi vedere da un medico. Mauro non accettò. Allora il comandante chiamò rinforzi avviando una lunga e tenace trattativa con il 32enne che non voleva salire in ambulanza. Convinto delle sue ragioni («Non avete un mandato» diceva Mauro) iniziò a dare segni di squilibrio per quel pressing cui venne sottoposto dalle 11 fino alle 15 quando fuggì dalla finestra, scalzo e in mutande, correndo verso la chiesa e poi per campi. Lo seguirono in dieci. E questo è il punto che sottolinea la parte civile rappresent­ata dagli avvocati Alberto Berardi e Fabio Pinelli: «Che male aveva fatto Mauro? Nulla, non c’era la necessità di assediarlo così, dovevano solo lasciarlo andare». E invece lo seguirono, un carabinier­e riuscì a fermarlo. Mauro lo mise a terra e iniziò a picchiarlo con l’unica manetta al polso che i carabinier­i erano riusciti a mettergli. Pegoraro, a una distanza di un metro e mezzo, sparò al 32enne, che venne colpito al fianco. Il giovane morì.

Per la famiglia Guerra i carabinier­i sono colpevoli di aver messo in atto un assedio dal finale tragico per motivi del tutto ingiustifi­cati. «Leggeremo le motivazion­i e ricorrerem­o in Appello, questo è un nuovo caso Cucchi» dicono gli avvocati di parte civile. Per il difensore, Stefano Fratucello, il carabinier­e temeva che Mauro stesse ammazzando il collega a terra (che ha riportato una ferita guarita in poche settimane ndr).

Le motivazion­i della sentenza si leggeranno tra 90 giorni.

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La vittima Mauro Guerra morì il 29 luglio 2015 nel Padovano, ucciso dal proiettile sparato da uno dei carabinier­i che lo stavano inseguendo

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