Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Le Fondazioni? Non sono un bancomat I fondi allo sviluppo»
IL NUOVO CORSO MAZZUCCO (CARIVERONA) Il presidente: «Dobbiamo passare dalle elemosine agli investimenti. Priorità all’innovazione e al capitale umano»
L’epoca delle Fondazioni-bancomat, a cui i territori di riferimento attingevano con larghezza - persino troppa, in certe epoche -, è definitivamente tramontata. Certo, la loro funzione sussidiaria in materia di welfare è ancora valida, a maggior ragione in questi anni di progressiva contrazione delle erogazioni concesse dalla mano pubblica, però il nuovo corso delineato dall’acri (l’associazione che riunisce le Casse di risparmio e le Fondazioni di origine bancaria) va in una direzione decisamente più «sviluppista», di sostegno alla ricerca tecnologica e all’innovazione. Un filone di svolta messo a fuoco giusto l’altro ieri, a Verona, nel corso di un convengo pubblico voluto da Cariverona e incentrato su tre temi portanti: capitale umano, infrastrutture e sviluppo, con significativo sottotitolo «Una sfida per i territori». Perché di sfida senza dubbio si tratta.
Presidente Alessandro Mazzucco, lei guida la Fondazione Cariverona ormai da quasi tre anni: sintetizzando il concetto, possiamo dire che nella mission delle «Fondazioni 2.0» ci sono meno elargizioni a pioggia e più attenzione a tutto ciò che aiuta un territorio a sviluppare Pil?
«È una lettura corretta, ne ho fatto un mio slogan e lo ripeto ogni volta che posso. Detto con altre parole: dobbiamo trasformare le elemosine, mi si passi il termine, in investimenti produttivi per il territorio».
Come si declina questa nuova natura delle Fondazioni di origine bancaria?
«Faccio una premessa. Io penso che lo Stato italiano abbia un atteggiamento di relativo disimpegno verso i bisogni sociali e tenda a trasferire questa responsabilità in capo ad alcune istituzioni, come appunto le Fondazioni. Si è ritenuto, cioè, che le Fondazioni dovessero farsi carico di alcune voci di spesa al posto degli Enti locali, e questo ha prodotto un grande equivoco. Le Fondazioni non possono continuare a fare il bancomat dei rispettivi territori, replicando all’infinito l’equivoco, ma devono cambiare pelle, anche perché questo stillicidio di erogazioni ha finito per impoverire i patrimoni».
Quali sono gli obiettivi forti di questo nuovo corso?
455
1,81
9,5
153
Il caso Cassamarca Ogni Fondazione è autonoma, non mettiamo i piedi in casa d’altri. Sì invece a un’attenzione per il territorio con progetti specifici
«Dopo cinquant’anni trascorsi nell’università, ritengo che questi investimenti debbano essere aperti totalmente a un’idea di innovazione. Pensiamo a generare capitale umano, pensiamo alle professioni del futuro, non al passato che sta alle nostre spalle. Tutto questo, naturalmente, trovando forme di collaborazione attiva con il mondo delle imprese e con l’università stessa».
A questo proposito: l’idea di un Politecnico del Nordest è ancora attuale oppure è stata soppiantata dal Competence center previsto dal Piano Industria 4.0?
«Le due cose non sono incompatibili, c’è un forte punto di contatto. In Lombardia e Piemonte, per dire, sono i Politecnici stessi che diventano Competence center. Venendo a noi, a Padova abbiamo il colosso di Ingegneria che si considera il vero Politecnico nordestino, Beh, mi sembra un’affermazione un po’ presuntuosa: vogliamo negare che le Università di Trento o Udine abbiamo sviluppato delle eccellenze in materia o che Trieste sia un polo della ricerca di importanza nazionale? Il punto, quindi, è un altro: