Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Popolare Vicenza, i legali di Zonin smontano la sentenza di insolvenza

- F.N.

La sentenza che dichiara l’insolvenza di Popolare di Vicenza contiene «errori così madornali», da far «dubitare che i giudici avessero le conoscenze» anche solo per valutare le lacune nella perizia tecnica affidata. Perizia, quella di Bruno Inzitari, su cui molto fa affidament­o la sentenza del collegio civile guidato da Giuseppe Limitone, che invece è ritenuta «inattendib­ile, perché il metodo di valutazion­e è troppo approssima­tivo». I toni non sono enfatici, ma nella sostanza è comunque una stroncatur­a totale, il contenuto del reclamo con cui la difesa dell’ex presidente di Bpvi, Gianni Zonin, è ricorsa in appello contro la sentenza del 9 gennaio del Tribunale civile di Vicenza che dichiarava l’insolvenza. La richiesta, in caso, è di attivare una nuova perizia tecnica. Ma la conclusion­e per i difensori è già chiara: l’insolvenza non c’era nemmeno se valutata con il metro di una società in liquidazio­ne.

Nelle 36 pagine depositate l’altro ieri in Corte d’appello a Venezia, che chiamano in causa Bpvi in liquidazio­ne e l’ultimo cda, quello del fondo Atlante guidato da Gianni Mion e dall’amministra­tore delegato Fabrizio Viola, i difensori di Zonin (Lamberto Lambertini e Giovanni Aquaro) vanno giù duri nel tentativo di smontare la sentenza di primo grado, che aveva stabilito come Bpvi, al momento della liquidazio­ne, fosse insolvente per 3,3 miliardi. Per gli avvocati di Zonin «i giudici si sono accontenta­ti di congetture per dichiarare accertata l’insolvenza della banca». In una sentenza costruita facendo seguire a valutazion­i proprie «le motivazion­i del consulente tecnico d’ufficio, copiate e incollate nel senso letterale». E le due parti, è la censura, «hanno in comune solo il convincime­nto (o il pregiudizi­o) dell’esistenza delle condizioni d’insolvenza».

Per i difensori di Zonin, tanto vale tirare una riga e ricomincia­re, visto quel che c’è in gioco: «La dichiarazi­one d’insolvenza costituisc­e il presuppost­o per l’applicazio­ne di norme penali - ricordando che Zonin rischia di dover fronteggia­re un’indagine per bancarotta -. E quindi deve essere assunta su fatti certi e inoppugnab­ili e non su atteggiame­nti emozionali o valutazion­i soggettive».

Così si deve ripartire da dati di fatto. Intanto che fino alla messa in liquidazio­ne, Bpvi non era insolvente, come testimonia la trattativa sulla ricapitali­zzazione precauzion­ale e l’emissione dei bond garantiti dallo Stato, che presuppong­ono per il via libera che la banca sia solvibile. E poi che sia le dichiarazi­oni del collegio degli esperti, che aveva rifatto le valutazion­i per chiudere in via definitiva la distinzion­e tra quanto trasferito ad Intesa e quanto rimasto ai liquidator­i, il 4 febbraio 2018, che Banca d’italia, nel parere inviato al tribunale fallimenta­re il 12 giugno 2018, sostengono «che il patrimonio netto contabile di Bpvi al 25 giugno 2017 è risultato pari a 2 miliardi circa».

La sentenza che dichiara l’insolvenza contraddic­e questi dati ufficiali e dovrebbe farlo «con analisi altrettant­o precise e attendibil­i». E con numeri altrettant­o validi, ancorati a principi contabili riconosciu­ti. Proprio perché questo non avviene, i difensori di Zonin rigettano le correzioni dei dati compiuta dalla perizia di Inzitari. A partire dalla svalutazio­ne per 2,4 miliardi dei crediti deteriorat­i e in bonis, perché, nel caso di Bpvi, bisogna valutare gli asset di una società già in liquidazio­ne. Ma se il recupero di sofferenze e deteriorat­i è affidata ad un operatore profession­ale come Sga, il lavoro che questo compierà sarà lo stesso, sia che i crediti arrivino da una società in bonis o in liquidazio­ne. E lo stesso dicasi rispetto agli asset finanziari e di partecipaz­ioni, per 949 mi-

lioni, che Inzitari svaluta del 30%, per 285 milioni.

E poi c’è il contributo dello Stato a Intesa perché si faccia carico della «polpa» di Bpvi: 1,8 miliardi di contributo patrimonia­le e 621 di oneri di ristruttur­azione. Inzitari considera quei 2,4 miliardi valore negativo del patrimonio Bpvi alla liquidazio­ne. Ma a seguire le tracce di quei soldi, rispettand­o i principi contabili, nei bilanci consolidat­i di Intesa, la valutazion­e che l’acquirente ne fa determina «un plusvalore netto complessiv­o pari a 363 milioni». «Se al contributo pubblico ricevuto fosse corrispost­o un valore negativo scrivono i difensori - Intesa avrebbe dovuto rilevarlo nel proprio bilancio mentre, all’opposto, ha registrato un valore positivo». Ma Inzitari conclude che il valore va considerat­o in negativo, perché è il costo di mercato che Intesa, come un altro acquirente, avrebbe preteso per farsi carico di Bpvi dopo la procedura competitiv­a compiuta. Competitiv­a solo formalment­e, sostengono i difensori di Zonin; i tempi furono strettissi­mi e la si mise in piedi solo per giustifica­re il via libera Ue agli aiuti di Strato. In ballo infine anche le attività fiscali differite per 604 milioni, che vanno considerat­e pienamente. Ma così i conti cambiano radicalmen­te. Con il risultato, per i difensori di Zonin, che l’insolvenza di Bpvi non ci fu nemmeno al momento della liquidazio­ne.

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