Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Imerio, il Garrincha del pedale: «E sul Gavia piegai Gaul»

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produceva un rosso che era la fine del mondo. Ma a me piaceva la bicicletta».

Come è arrivato al profession­ismo?

«Da dilettante andavo fortissimo. Nel 1959 la Federazion­e decise di promuovere dieci dilettanti anziché otto e passai anche io».

Firma con la Legnano, squadra prestigios­a, legata al nome di Bartali...

«Firmai tre anni a cinquantam­ila lire al mese: non era malissimo, un operaio ne portava a casa quarantami­la, ma non era nemmeno chissà che. Ma si faceva meno fatica in bicicletta che in fabbrica, secondo me».

Al primo Giro subito quinto. Classifica finale: Gaul, Anquetil, Ronchini, Van Looy e Massignan. Una bella compagnia...

«In mezzo a tanti campioni mi chiedevo: e qui cosa ci faccio? Poi ho capito che in quel gruppo lì potevo starci anche io».

Lei ha gareggiato da esordiente tra i big nell’ultimo anno di Fausto Coppi. Com’era il Campioniss­imo?

«Un galantuomo, un super campione. Elegante nei modi e nel parlare, mi aveva preso in simpatia: Corse a tappe non ne faceva più a quasi 40 anni ma qualche classica insieme l’abbiamo corsa. “Vai così, vai bene” mi diceva sempre. Un signore, ecco».

Una classifica ideale dei cui ha gareggiato?

«Coppi, Anquetil, Gaul e Nencini».

Lei ha corso il Tour del ‘60, quello dove trionfò proprio Nencini: si narra di passaggi di sigarette e Chianti, cosa c’è di vero?

«Tutto... Era un fuoriclass­e ma amava fumare e non disdegnava il vino rosso. Io ero addetto a passargli le sigarette, ogni tanto voleva fumare anche in corsa, idem per il vino dove nemmeno io mi tiravo indietro. Ma cosa vuoi che sia un po’ di vino quando in una tappa mandavi giù sette o otto litri di acqua?».

Massignan e le donne: da giovane si che lei fosse un vero castigator­e...

«Macché, le morose le avevano tutti, sono stato un profession­ista serio, altroché. È pur vero però che alla Legnano presentai una nota spese completa di tutto, comprese diecimila grandissim­i con dice lire “perché l’uomo non è di legno”».

Cioè?

«Beh, l’uomo non è di legno giusto? Tantomeno il ciclista... Quindi scrissi tot per il treno, tot per dormire, tot per le trattorie e diecimila lire “perché l’uomo non è di legno”. Pavesi, il mitico avocatt, il nostro direttore sportivo, prima strabuzzò gli occhi, poi tolse e mise la pipa di bocca dieci volte e alla fine firmò. Anche lui era stato un corridore...».

Massignan detto «Gambasecca», per via di quella destra più corta della sinistra. Non è mai stato un problema in corsa?

«All’inizio sì ma poi Tullio Campagnolo, l’inventore del deragliato­re al cambio, vicentino come me, mi creò una pedivella speciale e con quella andavo come una moto».

Gavia, 1960, che ricordi ha?

«Torriani mise quella salita in una tappa per la prima volta, una pendenza terribile e una stradina sterrata, una mulattiera nel fango e nel nevischio. Andai in fuga e staccai tutti, compresi Anquetil e Gaul: andavo proprio forte ma forai: una volta, due, tre... Sui sassi le gomme scoppiavan­o come palloncini».

E dietro non mollavano di certo...

«No, per giunta non avevo la macchina al seguito

La nota delle «spese» Quando ero alla Legnano presentai a Pavesi la mia nota spese: tot per il treno, tot per i pernottame­nti, tot per la trattoria e diecimila lire “perché l’uomo non è di legno”: prese e firmò

perchè sulla salita il motore era andato in ebollizion­e. Quando arrivò era tardi ma ripresi Gaul, lo staccai di nuovo e ritrovai la testa: solo che forai una quarta volta, a poche centinaia di metri dal traguardo: mi riprese, mi passò e ciao. Arrivai piangendo di rabbia al traguardo, con la ruota a terra, a 15 secondi».

Una tappa epica, lì nacque la leggenda Massignan «l’angelo del Gavia».

«Mi diede notorietà, anche sui giornali. Ma avrei preferito vincere, ecco... Sono arrivato secondo un po’ troppe volte, come al Lombardia del 1962: sul muro di Sormano fui l’unico a non aver messo piede a terra. Poi però ha vinto Taccone e io dietro, a tre secondi».

Vittorie e sorrisi non le sono mancati però, ha qualche rimpianto?

«Ho vinto la classifica degli scalatori due volte al Tour, ho vinto la tappa a Luchon sui Pirenei ma ancora penso al Giro del ‘62: potevo vincerlo su una gamba sola ma dovevo stare con Battistini, ordini di scuderia. Quando poi ho avuto il via libera Balmamion era avanti di qualche minuto, lì è rimasto e sono arrivato, appunto, secondo, te pareva...». Massignan, lo segue ancora il ciclismo? «Beh, da qualche anno non mi muovo molto, ho problemi a un’anca. Però quando ci sono Giro e Tour non perdo una tappa in tv. In fondo, quella è stata la mia vita». di

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