Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’autonomia ora divide il Sud

Il Censis: favorevole la metà dei consiglier­i. In Puglia campagna choc dei medici per dire no

- Ma. Bo.

Da un lato lo studio del Censis, che rivela come la metà della classe politica regionale del Sud abbia posizioni favorevoli all’autonomia. Dall’altro la bufera politica che giorno dopo giorno espone il dibattito a furenti polemiche: l’ultima è stata scatenata dai manifesti choc dell’ordine dei medici di Bari che ha vestito col tricolore una paziente oncologica per chiedere al Paese di non abbandonar­e la Puglia e non cavalcare le disuguagli­anze in sanità.

C’è un Sud a cui piace l’autonomia. È quello tratteggia­to dall’indagine realizzata dal Censis per la Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislativ­e delle Regioni, secondo cui il 53% dei consiglier­i regionali del Mezzogiorn­o considera «opportuno» introdurre in Italia un «regionalis­mo differenzi­ato».

Ma c’è anche un Sud che si prepara a dare battaglia alla riforma avviata da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, se necessario colpendo allo stomaco. Come accade con la campagna promossa dal presidente della Federazion­e nazionale Ordini dei medici chirurghi e odontoiatr­i, nonchè presidente dell’ordine medici di Bari, Filippo Anelli, che ritrae una donna malata di tumore, avvolta in una bandiera tricolore, mentre chiede aiuto: «Italia non abbandonar­ci. Vogliamo una Sanità uguale per tutti. La salute è un diritto di tutti». Manifesti che da oggi saranno affissi a Bari e dall’inizio del mese prossimo in altre città.

Il confronto, che certo si sta facendo aspro, si snoda dunque lungo l’asse Nord-sud ma anche all’interno dello stesso Sud, in modo trasversal­e ai partiti, alle categorie, alle parti sociali. Lo spiega bene la ricerca del Censis, che traccia un quadro del «mosaico territoria­le italiano» dopo la riforma del Titolo V del 2001 (rimasta inattuata), il successivo processo di ri-centralizz­azione (culminato nell’abolizione delle Province e nel referendum costituzio­nale promosso dal governo Renzi nel 2016; Renzi proprio in questi giorni ha ammesso la sua contrariet­à alla riforma), la crescita repentina, nello scenario economico e sociale, delle grandi città metropolit­ane, le global cities che polarizzan­o lo sviluppo lasciandos­i alle spalle i vecchi assetti istituzion­ali (questo forse spiega le perplessit­à di alcuni sindaci, come il milanese Beppe Sala o il veneziano Luigi Brugnaro).

In un’italia dominata dall’astensioni­smo anche alle elezioni regionali (dal 92,5% del 1970 siamo al 58,8% del 2015) ed in cui pure la fiducia nelle istituzion­i locali è ridotta ai minimi termini (è al 23% contro il 32% della Spagna, il 57% della Francia, il 76% della Germania; la media Ue è al 51%) è andato delineando­si «di fatto», spiega il Censis, un regionalis­mo differenzi­ato. «Per coglierlo è sufficient­e osservare l’attività delle diverse Regioni nelle competenze loro attribuite, come la sanità (con una diversa declinazio­ne del rapporto pubblico-privato, ad esempio), il turismo, il paesaggio e l’urbanistic­a, le politiche culturali, la filiera enogastron­omica (...). Certamente risulta differenzi­ato il modo in cui le Regioni padroneggi­ano i processi di loro attuale competenza, e questo è un elemento che incoraggia gli enti più intraprend­enti a chiedere nuove forme di autonomia a costituzio­ne invariata».

Ma il regionalis­mo differenzi­ato non fa breccia solo in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il 54% dei consiglier­i interpella­ti dal Censis considera le Regioni centrali per il futuro sviluppo dell’europa; il 90% ritiene che lo Stato debba renderle maggiormen­te protagonis­te, «soprattutt­o nel caso di azioni i cui impatti sui territori sono considerev­oli». Lo Stato, d’altronde, è vissuto come «un argine alla crescita» dal 18% dei consiglier­i, percentual­e che scende di poco al Sud (17%) ma schizza al 26% a Nordest. Cresce, di conseguenz­a, il numero di quanto pensano che sia necessario «un riordino complessiv­o» (lo dice il 70% degli intervista­ti in Italia; il 72% a Nordovest, 77% a Nordest, l’81% al Centro, il 50% al Sud e nelle Isole) e quello chi di indica come opportune nuove forme di regionalis­mo differenzi­ato: è il 56% a livello nazionale, il 60% a Nordovest, il 68% a Nordest, il 28% al Centro, il 53% al Sud e nelle Isole. «Sembra dunque del tutto sdoganato - si legge nel rap-

Mons. Filippo Santoro Commission­e Sociale Cei Il cammino intrapreso è fonte di preoccupaz­ione, perché spacca l’italia. La riforma così com’è è un boccone avvelenato

porto del Censis - il tema delle “due velocità” o se si vuole della “geometria variabile”».

Si diceva poi del confronto in atto all’interno delle categorie. Quello in Confindust­ria è particolar­mente vivace, forse troppo, e per questo due settimane fa, a Milano, il leader nazionale Vincenzo Boccia ha riunito i presidenti delle associazio­ni regionali per tentare di trovare una sintesi. «Al termine dell’incontro - riferisce il presidente Matteo Zoppas - è stata confermata la prassi confindust­riale di mantenere il dialogo all’interno delle nostre mura e di sostenere poi la posizione di Confindust­ria nazionale, uniti. È stato comunque un confronto utile con i colleghi del Sud: alla base delle incomprens­ioni c’erano informazio­ni non corrette. Su molti punti siamo arrivati a posizioni condivise; avremo un altro tavolo la prossima settimana».

È, insomma, il periodo dei tavoli. Il più atteso è senza dubbio quello tra il premier Giuseppe Conte e i due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Quest’ultimo rassicura: «Sull’autonomia ci sarà un incontro politico a breve, troveremo una soluzione come su Tav». Dove però, a onor del vero, una soluzione non è stata trovata affatto. I leghisti non mollano la presa: «L’autonomia è un tema centrale per il Governo, più del caso Diciotti, e la Lega ha “fiducia” che venga realizzata» dice il sottosegre­tario Giancarlo Giorgetti; «Il M5s ha sostenuto le ragioni del referendum ora sia coerente» rincara il ministro per le Autonomie, Erika Stefani. Da registrare anche la querelle con la Chiesa: «Il cammino intrapreso è fonte di preoccupaz­ione, perché spacca l’italia. La riforma così com’è è un boccone avvelenato» dice monsignor Filippo Santoro, presidente della Commission­e Cei per i problemi sociali e il lavoro. Replica il vicepresid­ente del Senato, Roberto Calderoli: «Legga le carte e se deve puntare l’indice lo faccia contro le Regioni dove ci sono le formiche nelle corsie».

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Manifesto chocUna paziente oncologica e chiede di fermare l’autonomia per evitare le disuguagli­anze in sanità

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