Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Appalti pilotati all’università In 16 verso il processo
Il pm chiude le indagini per 16 persone. Al centro del sistema l’ex dirigente Ravazzolo
Appalti combinati, gare spezzettate nei valori per accontentare i soliti impresari edili. Il pm Dini ha chiuso le indagini sugli illeciti all’università di Padova: un sistema al centro del quale ci sarebbe stato l’ex dirigente Ettore Ravazzolo, che avrebbe ricevuto in cambio lavori gratis per le proprietà personali. Gli indagati sono 16, tra dipendenti e imprenditori.
Ci sono gli oltre 142mila euro per la ristrutturazione di studi medici e sale operatorie in azienda ospedaliera, i trattamenti da 10 mila euro nella serra della Palma di Goethe, la manutenzione all’androne di palazzo Maldura (15.897 euro), i cartongessi e le pitture al Liviano (8.260 euro), il portico alla torre Archimede (18.815 euro). Sono andati via così oltre 370 mila euro di soldi pubblici, denaro concesso per lavori affidati senza gara favorendo, secondo l’accusa, pochi impresari.
La procura ha chiuso le indagini sulle mazzette all’università, il pm Sergio Dini ha indagato 16 persone per corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Al vertice del sistema ci sarebbe Ettore Ravazzolo, originario di Valdagno, 59 anni, ex dirigente dell’area Edilizia e Sicurezza dell’università di Padova. Oltre a lui ci sono sette impresari edili e otto dipendenti dell’università, che pur senza ottenere nulla in cambio, seguivano le illecite procedure che venivano imposte da Ravazzolo contattando impresari e facendosi dettare le regole per far vincere sempre i soliti. A riceverne qualcosa in cambio era Ravazzolo, che dagli impresari si sarebbe fatto ristrutturare la casa a Valdagno, il pied-à-terre padovano in centro storico e alcuni trulli in Puglia. La polizia giudiziaria ha consentito di ricostruire appalti frazionati sotto i 40 mila euro, e sotto 20 mila euro in modo da raggirare la normativa e concedere i lavori sempre alle stesse persone. È stato un esposto del rettore Rosario Rizzuto a dare il via alle indagini, quando un gruppo di impresari è andato a denunciare che non riuscivano più a lavorare per il Bo. Con la collaborazione dei vertici universitari la polizia giudiziaria è riuscita a posizionare telecamere e radiomicrofoni negli uffici. Tuttavia a un certo punto gli uomini coordinati dalla procura sono dovuti intervenire per non far andare l’indagine a rotoli: qualcuno aveva fatto la spia e aveva avvisato della presenza di «occhi elettronici».
Nonostante questo, gli indizi erano così gravi che in tre sono finiti agli arresti nel 2017. A lavorare più di tutti gli altri era senza dubbio Massimiliano De Negri, di Santa Margherita d’adige, che insieme a Ravazzolo e ad altri impresari, organizzava cene e incontri per spartirsi la torta. Monitorati viaggi in barca, cene da Donna Irene e allo Zafferano. Tutto per incastrare quella che il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, chiama un «comitato d’affari» che rispondeva direttamente a Ravazzolo. Mentre i due sono indagati per corruzione, altri impresari e altri funzionari universitari sottoposti all’ex dirigente sono indagati per turbativa d’asta e abuso d’ufficio. In parte avrebbero ricevuto ordini dal dirigente per predisporre aggiudicazioni «tagliate su misura», in parte avrebbero agevolato i pagamenti a De Negri che sarebbe stato liquidato con estrema celerità. Dall’inchiesta sull’università è nata un’indagine–stralcio su presunte irregolarità in Provincia.