Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il sì alla Cina degli imprenditori
Ma Zoppas invoca cautela: «La Via della Seta non favorisca l’ingresso delle merci da Oriente»
C’è chi evidenzia che il business del futuro sarà a Pechino e chi guarda alla Cina di oggi come agli Stati Uniti di ieri, confidando in un nuovo «Pia- no Marshall». Molti imprenditori veneti vedono nella Via della Seta una nuova, imperdibile occasione di sviluppo. Ma il leader di Confindustria, Matteo Zoppas, invita alla cautela: «Va preservata la nostra manifattura». L’assessore regionale Roberto Marcato in controtendenza rispetto alla Lega: «Nel mondo globalizzato è impossibile alzare barriere».
Cina, come sempre fra seduzione e inquietudine. Il Nordest italiano, come una quindicina d’anni fa, è ancora tormentato e non sa risolversi su quale sia il volto da mostrare alla grande potenza orientale. Nei primi anni Duemila la spina nel fianco erano i prodotti d’imitazione a bassissimo prezzo che dilagavano sui nostri mercati anche se non erano poche le aziende venete che in Cina piantavano stabilimenti. Ora l’ansia si chiama Via della Seta, un gigantesco canale commerciale che Pechino intende aprire per avvicinare l’occidente. Portare capitali, offrire affari, issare bandiere su terminal marittimi e terrestri. E un’idea comune fra industria e politica, come spesso accade in troppi momenti sfidanti, non c’è.
«L’obiettivo principale della Via della Seta – è la visione di Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto - deve essere quello di accrescere le esportazioni dei prodotti Made in Italy in Cina e non di fornire una ulteriore via preferenziale all’ingresso di merci cinesi nel nostro territorio. La nostra manifattura va assolutamente salvaguardata. Il nostro Governo ha la delicata responsabilità di garantire uno stabile equilibrio tra i rapporti che manteniamo con l’occidente e quelli con l’oriente». Secondo Alberto Baban, presidente di Venetwork ed ex presidente della Piccola Industria di Confindustria, i cinesi sono interessati ad arrivare qui per «annusare quanto sia possibile una nostra interazione con loro. E anche noi siamo molto interessati perché, quando c’è mercato, il know how che abbiamo diventa esplosivo. Ma ci vuole un’attenzione molto raffinata, l’interlocutore cinese gioca con regole diverse rispetto alla contrattazione tipica nelle democrazie liberali». Rischi di copiatura? «Copieranno immediatamente e sempre meglio ogni prodotto di eccellenza – pronostica Alfeo Ortolan, fondatore e presidente di Maeg Costruzioni, di Vazzola (Treviso), grande player delle infrastrutture in acciaio – ma noi dovremo sempre essere un passo più avanti. Se siamo aperti a questa mentalità il mondo continueremo a viverlo, se pensassimo invece a strumenti di protezionismo il declino sarebbe assicurato». Ad operare sempre più intensamente sul tracciato della Via della Seta è poi la veneta Dba Group, che si occupa di ingegnerizzazione infrastrutturale. «Nei prossimi 10 anni, nel nostro settore – dice il presidente, Francesco De Bettin - si prevedono investimenti pari a 10 volte il piano Marshall. Solo che le finanze le mettono i cinesi e non gli americani ed è evidente che noi andiamo là dove i soldi ci sono».
Mille attenzioni, perciò, ma guai a girare le spalle per non vedere. Anzi, se la Cina offre business cercare di essere fra i primi e su questo il mondo produttivo veneto pare essere compatto. E nella politica? Molta più confusione, anche sotto la stessa bandiera. Pochi giorni fa il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, a proposito della «One Beltone Road» (definizione tecnica del progetto transcontinentale) ha parlato a chiare lettere di «una nuova forma di colonizzazione. I cinesi hanno già invaso l’africa e ora si preparano a farlo anche con l’europa, con i nostri porti. Dobbiamo creare gli anticorpi per difenderci da questa invasione». Dunque palizzate e cani da guardia.
Roberto Marcato, il suo assessore allo Sviluppo economico, però, pare avere una visione un tantino differente. «Immaginare di poter erigere delle barriere sui confini economici – ha detto ieri - è praticamente impossibile. Tra l’altro noi stiamo lavorando con il porto di Venezia perchè questo diventi un approdo sempre più interessante, ma dobbiamo avere con i cinesi la capacità di impostare un rapporto alla pari. Schiena dritta. Se immaginano l’italia come paese di conquista sbagliano e, del resto, non credo sia nel loro interesse perché – chiude l’assessore – andrebbero a snaturare un unicum di know how che non ha pari nel mondo».