Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LA PAURA CI AIUTA A CAMBIARE

- Di Paola Giacomoni

«Iwant you to panic», voglio che siate presi dal panico, diceva uno dei cartelli visti nella grande manifestaz­ione studentesc­a dell’altro giorno nelle piazze venete e di tutto il mondo.

Effetto social, effetto dimensione globale del problema ambientale. La studentess­a sedicenne Greta Thunberg, già proposta per il Nobel per la pace, è riuscita a smuovere nello stesso giorno manifestaz­ioni di studenti in tutto il pianeta, dimostrand­o che le piazze di oggi non sono solo nazionalis­te e violente.

Greta ha detto che non vuole usare il lessico della speranza rivolgendo­si ai politici sui temi del cambiament­o climatico: vuole che sentano il panico, la paura o anche il terrore pensando al futuro della terra. Niente di misterioso: la paura, come sempre, ha la funzione adattiva di segnalare un pericolo e va ascoltata. Segnalando un pericolo, la paura ci fornisce importanti informazio­ni sul mondo: non è solo un elemento irrazional­e. E naturalmen­te sono le nuove generazion­i in primo luogo ad avvertirlo di più: nella loro apparente svagatezza, nel loro supposto «nichilismo», reagiscono con angoscia ai discorsi sul loro futuro in pericolo. Milena Gabanelli sul Corriere della sera di lunedì scorso ha scritto che è stato calcolato che nel 2018 il primo di agosto è stato il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse naturali che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno. Un pianeta non basta, ne serve 1,7. «Non c’è un piane(ta) B» si leggeva l’altro ieri su un cartello. La speranza è spesso attendista, non produce il senso di ineluttabi­lità necessario perché i politici di tutto il mondo escano da beghe da bottega e si accordino su alcuni punti irrinuncia­bili, dall’accordo di Parigi in avanti. Per rendere evidenti i rischi incombenti, può essere necessaria un’emozione forte come la paura, che arrivi ai nostri politici. Per questo la manifestaz­ione di oggi non può essere letta come una festa da buontempon­i, ma neppure si può mostrare solo solidariet­à a parole o rimanere incantati di fronte alla rinata protesta giovanile. Pensate, anche con terrore, sì, cari politici, che l’amatissimo sci, fonte di piacere per noi e di benessere per le valli alpine, può finire in pochi anni per mancanza di neve, che il vento potrà distrugger­e i boschi ogni anno di più, che i passi alpini puzzeranno di gas di scarico e il turismo montano non sarà più attrattivo. Pensate che molti di noi dovranno presto rinunciare ai voli aerei che tracciano scie sempre più numerose nei nostri cieli, e usare invece di più il treno meglio veloce? - almeno per spostarsi in Europa. Pensate a questo, ascoltate il grido festoso ma angosciato dei ragazzi e vi ritroveret­e a pensare che qualcosa di molto radicale va cambiato nel nostro modello di sviluppo.

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