Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Le ultime lezioni» Il nuovo Montanaro, emozioni e amicizia
Il romanzo di Montanaro: uno studente, un professore e un dramma nascosto
C’è la Venezia più vera, quella che i veneziani vivono ogni giorno, nel nuovo libro dello scrittore Giovanni Montanaro Le ultime lezioni (Feltrinelli, 165 pagine, 15 euro). Colori, profumi, calli e canali scandiscono la storia di un adolescente prima, poi adulto, e del professore di liceo dalla vita sofferta, che condizionerà in modo indelebile la sua crescita. Romanzo di formazione, ma non solo, perché protagonista al pari della voce narrante, il giovane Jacopo, è proprio il professore («occhiali tondi, garbo senza fascino, giacche sdrucite ma ancora decorose, come uno che da giovane abbia avuto delle speranze»), che diventa una sorta di coscienza. E porta Jacopo a guardarsi dentro, a interrogarsi, a fare i conti con chi è e chi vuole diventare. Jacopo quasi per caso sceglie quel professore che riusciva a rendere interessante ogni lezione di letteratura («erano le migliori, prive di retorica, di invettive e all’epoca erano le uniche cose che ci interessava ascoltare, perché ci facevano sembrare il mondo più facile di quanto fosse realmente») come punto di riferimento per capire cosa fare nella vita. «Mi piaceva quel che facevo? Ci credevo in quello che dicevo? Volevo diventare un uomo, scegliere le mie battaglie?»
Un incontro del destino, prima sui banchi di scuola al liceo «Marco Polo» di Venezia, dove il professore resterà poco, perché la morte della moglie lo porterà a ritirarsi dall’insegnamento. Dopo la maturità, scoprendo la vita di quell’insegnante che non aveva dimenticato, Jacopo si confronterà anche con Lucia, la figlia nata con una grave disabilità, accartocciata sulla sedia a rotelle a causa di una tetraparesi spastica. Lucia non parla, non cammina, emette suoni gutturali, ma ha un’intelligenza vivacissima, profonda, che Jacopo imparerà a conoscere. In una Venezia di cui Montanaro racconta scorci, angoli, luoghi della sua vita di ragazzo, con la perizia e il compiacimento di chi Venezia, città natia ce l’ha nel cuore, si snoda quest’intreccio di storie, che per qualche tempo porta a procedere insieme tre esistenze diversissime tra loro. Dalle altane di San Stae dove i giovani amoreggiano, alle atmosfere borghesi del liceo Marco Polo (in cui emerge la prima, inconsapevole, divisione tra classi sociali), a San Trovaso, a Ca’ Foscari, al Canal Grande, agli allenamenti all’arsenale, il ritratto di Venezia è un omaggio. Il veneziano Montanaro la racconta come il padovano Romolo Bugaro narra Padova, l’amarcord di chi la sua città l’ha scolpita dentro. «Finalmente ho potuto scrivere di Venezia, la mia città – conferma Giovanni Montanaro – con la chiave del quotidiano. Ci sono tanti elementi molto vicini a me e alla mia vita nel libro. Provo affetto per questo mio romanzo, in cui ho affrontato temi che mi riguardano con molta libertà». Una scrittura essenziale, che ha eliminato il superfluo, sfrondato barocchismi, è diventata chirurgica, immediata, precisa nel rendere una narrazione forte, emozionale, introspettiva. Un balzo in avanti nel percorso narrativo di Montanaro, un ritmo narrativo maturo e convincente. «L’immagine del professore e della figlia disabile sono nate insieme, li ho visti entrambi con chiarezza – spiega lo scrittore - . Mi hanno portato a confrontarmi con una brutale ingiustizia della vita, che poi nel romanzo apre molti interrogativi, dalla difficoltà di immaginare le vite degli altri e di capire che cosa c’è dietro e dentro esistenze di cui non sappiamo nulla, al senso della letteratura».
L’isola di sant’erasmo, dove il professore vive con la figlia Lucia, diventerà per Jacopo una sorta di rifugio, che tra silenzi e canali, l’accoglierà, all’ombra del grande albero di mimosa del giardino. Quell’età difficile delle «ultime lezioni», che sono ben altro da ciò che troviamo a scuola, è un passaggio obbligato verso l’età adulta, perché è anche tra sofferenza, rimpianti, sensi di colpa, fughe e ritorni, che si costruisce il destino che ci aspetta.
«Lì, in quell’isola di sant’erasmo c’era tutto quel che la fantasia poteva creare – scrive Montanaro - le rotaie della ferrovia di Anna Karenina, il plotone di esecuzione davanti ad Aureliano Buendìa, la cameretta di zia Lèonie a Cambray, il clown di It, il ponte sopra il fiume dove due amici di nome Jules e Jim si erano innamorati della stessa ragazza. Lì, sotto quella mimosa accadeva ogni amore, pena, sorpresa, desiderio che le pagine potevano contenere, sprigionare». Molti anni dopo, quando né il professore, né Lucia ci sono più, Jacopo adulto ha lasciato Venezia, vive e lavora all’estero e del periodo a Sant’erasmo resta solo il ricordo, sarà proprio quella mimosa a compiere un piccolo miracolo. A fermare per sempre nel tempo ciò che è stato.
Finalmente ho potuto scrivere della mia città con la chiave della quotidianità
I protagonisti mi hanno portato a confrontarmi con una brutale ingiustizia della vita