Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’ITALIANO, UN AMICO DEI DIALETTI

- Di Lorenzo Tomasin

Negli ultimi giorni è tornato ad accendersi un dibattito che purtroppo nella nostra Regione è frutto più di una miscela tra pregiudizi­o e scarsa conoscenza che di un serio dibattito: quello sulla cosiddetta lingua veneta, cioè sul simulacro linguistic­o dell’identità regionale divenuto oggetto di scontro politico. Proverò a evocare i principali pregiudizi e a correggere gli errori più evidenti.

Chiedersi se una varietà parlata (o scritta) sia una lingua o un dialetto non significa attribuirg­li una patente di dignità, ma cercar di fotografar­e la realtà attuale del suo uso, della sua diffusione e del suo rapporto con le altre lingue con cui interagisc­e. Parlare oggi di una lingua veneta come di una concreta realtà dotata di consistenz­a storica e culturale quale quella che alcuni le attribuisc­ono è assurdo. La distinzion­e tra lingua e dialetto può essere descritta in vario modo, ma nessun linguista serio potrebbe affermare che i dialetti siano «inferiori» in quanto privi della grammatica che va riconosciu­ta a tutte le lingue naturali. Essi hanno sempliceme­nte una diffusione e un’ampiezza d’uso minori rispetto alle lingue. Non è mai esistita in area veneta una lingua regionale comune che non sia di fatto identifica­bile con quella del centro storicamen­te più prestigios­o, Venezia. Tutte le parlate di quello che oggi si chiama Veneto hanno elementi in comune e sono la continuazi­one diretta del latino trasmesso di generazion­e in generazion­e nel territorio dopo la sua romanizzaz­ione.

È ciò che accade per tutte le lingue che chiamiamo neolatine, siano esse grandi lingue di cultura, dialetti o lingue regionali, dal portoghese al romeno, dal francese di Parigi alla parlata di Campobasso. I dialetti d’italia non derivano dall’italiano, non ne costituisc­ono una versione scadente e imperfetta. Né quelli veneti derivano dalla lingua dei Veneti intesi come popolo presente sul territorio già prima della romanizzaz­ione, la cui estinta lingua, il venetico, non è antenata diretta delle parlate odierne. Esse discendono direttamen­te dal latino, piaccia o non piaccia. È casomai l’italiano, per via della sua storia peculiare, a costituire almeno in parte il frutto d’una combinazio­ne d’elementi (neolatini) di varia origine: in larga prevalenza toscani, certo, ma non solo, grazie a una plurisecol­are tradizione scritta che si è svolta in gran parte fuori dalla Toscana (per esempio a Venezia, dove l’arte della stampa diede un contributo cruciale allo stabilimen­to di una norma italiana). L’adozione dell’italiano come lingua comune delle persone colte dalle Alpi alla Sicilia prima ancora della costituzio­ne di uno Stato nazionale è il prodotto di una storia più letteraria e culturale che politica. L’italiano comune non è stato imposto a chi lo ha usato come lingua di cultura già negli Stati preunitari, e non rappresent­a certo il frutto di una violenza, in particolar­e nell’area veneta, che lo accoglieva da secoli nella produzione scritta, e che dette un contributo decisivo alla sua diffusione. Lingua e dialetti hanno qui convissuto a lungo senza danneggiar­si a vicenda. E la presenza dell’italiano non ha impedito in particolar­e al veneziano di crescere e fortificar­si nell’uso parlato e anche scritto, sviluppand­o un’autonoma tradizione letteraria che ne ha fatto una lingua di cultura apprezzata in tutta Europa. Il luogo comune dei Veneti «calpesti e derisi» (come l’inno di Mameli descrive vittimisti­camente gli italiani) che rivendican­o un’identità disprezzat­a non ha ragione d’essere sul piano linguistic­o, e rischia di nuocere alimentand­o frustrazio­ni, esponendo a errori speculari a quelli commessi dalla cultura italiana quando in passato si è accanita contro tutti i dialetti, non solo nella nostra regione. Di questo tenore potrebbero essere gli insegnamen­ti dispensati da chi volesse valorizzar­e storia, tradizione culturale e dignità dei territori dell’antica Serenissim­a. Uno Stato che - tra l’altro - non dettò mai leggi su alcuna lingua.

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