Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Vita, malvagità e legami: le mostre di monsieur Pinault
Collezione Pinault: Tuymans a Palazzo Grassi e collettiva a Punta della Dogana
Camminando nell’atrio di Palazzo Grassi a Venezia, quasi non ci si accorge. Bisogna sporgersi da una delle balaustre per ammirare un grande mosaico biancastro con una fila di alberi neri. Lunghe righe scure lo attraversano da un capo all’altro.
Il paesaggio bucolico ricostruito da Luc Tuymans si intitola Schwarzheide, che altro non era se non un campo di lavoro nazista. L’immagine riprende infatti uno dei disegni di Alfred Kantor, un sopravvissuto ai lager che amava disegnare in segreto e poi tagliava a strisce il foglio per nasconderlo e farlo arrivare fuori. Uno slittamento perturbante: è questa la cifra che segna tutta la produzione del pittore belga, classe 1958, che viene omaggiato a Venezia dalla Collezione Pinault con una antologica (per la prima volta in Italia) di 83 opere realizzate negli ultimi trent’anni. Curata da Caroline Bourgeois e dallo stesso Tuymans, la mostra (visitabile fino al 6 gennaio 2020) è dedicata a La pelle, il romanzo di Curzio Malaparte, «scrittore fenomenale, megalomane e soprattutto ambiguo», come lo descrive l’artista.
L’ambiguità ciondolante tra la vita e la malvagità, il delirio e la pena. In una tela, Le Mépris (Il disprezzo, 2015), Tuymans ritrae la casa di Malaparte a Capri, inquadrando a tutto campo un camino con al centro una finestra: non aspettatevi uno scorcio magnifico sull’isola ma solo una luce abbacinante. I colori quasi tetri sembrano una patina appiccicosa. Perché la pelle cui si riferisce Tuymans è anche l’epidermide, a volte untuosa e a volte diafana, delle nostre esistenze. E così, in questo scivolamento inesorabile, la visione si fa rarefatta, irrespirabile, dettagli enormi e percezioni sfocate. L’intero racconto di Tuymans, scandito non da cronologie ma per assonanze, riverbera di inquietudine. Il ritratto di Albert Speer, l’architetto di Hitler, è quello di un uomo impassibile con gli occhi chiusi e si chiamaSecrets (1990) perché i suoi segreti sono anche i nostri.
In Rearview Mirror (1986) uno specchietto retrovisore ci invita a guardarci alle spalle per ritrovarci in un paesaggio irreale.
La Tartaruga (2007) è dedicata a Disney ma l’epopea pop si tramuta in una creatura sbavata con lucine opache. In Tuymans c’è tutto il disincanto di fronte all’umanità in un costante processo di «falsificazione autentica della realtà», come scrivono i due curatori. E il fatto che l’artista belga usi la pittura (è uno dei contemporanei che l’hanno rilanciata) amplifica la sensazione sordida e sfibrante, «perché la pittura è anacronistica e vitale», dice. L’inquietudine di Tuymans ritorna nell’altra sede di Monsieur Pinault, Punta della Dogana. E allora è chiaro come sia un’inquietudine intimamente politica.
Luoghi e segni (aperta fino al 15 dicembre 2019) è una sofisticata operazione curatoriale firmata da Martin Bethenod (direttore della Collezione) e da Mouna Mekouar. E’ una vera messa in scena di dialoghi fittissimi, come un affascinante vociare tra artisti. Il titolo è preso da un’opera di Carol Rama, strepitosa e disinibita artista italiana scomparsa nel 2015, qui presente con un bricolage-mappa immaginaria (cerotto, pellicola e pennarello su tela). Ma la voce di fondo è della poetessa libanese Etel Adnan, che da sempre considera scrittura e pittura una stessa lingua.
Allora i 36 artisti invitati fanno i conti con queste due matriarche intrecciando similitudini e contiguità. E poi tra loro svelano affinità elettive e legami sentimentali che corrono adoranti, mai pacificati, assolutamente queer. Gli scatti nella New York degli anni ’30 di Berenice Abbott sono messi in fila da Liz Deschenes con le stesse variazioni cromatiche della sua opera che campeggia di fronte, una lunga sequenza di stampe alla gelatina d’argento. Le sculture degli angeli islamici della siriana Simone Fattal ci immergono in una dimensione onirica, così come le vasche d’acqua che sembra solidificata di Roni Horn. E poi tutto si fa silenzio con l’installazione del marocchino Hicham Berrada: un giardino artificiale di gelsomini notturni.