Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

UNA STELE PER QUEI 1.011 NOMI

- di Alessandro Russello

Cristina Pavesi aveva 22 anni e si stava laureando. Da Padova aveva appena preso il treno per Conegliano, dove la aspettavan­o i genitori. La sua vita venne spezzata dalle lamiere dopo che il tritolo della mafia della Mala del Brenta fece saltare un binario nell’assalto ad un vagone postale.

Don Cesare Boschin fu ammazzato a ottant’anni per i segreti che gli vennero confidati sullo smaltiment­o di rifiuti tossici ad Albano, in provincia di Latina, dove stava svolgendo la sua missione spirituale e civica. Ucciso dalla camorra. Matteo Toffanin, padovano, aveva 23 anni il giorno in cui portò la morosa al mare. Ci andò con la Mercedes del padre. Modello uguale a targa simile a quella di un affiliato alla mala del Brenta inseguito da un clan siciliano. La vendetta sbagliò persona, mai trovati i colpevoli dell’omicidio di un altro incolpevol­e.

Il carabinier­e Silvano Franzolin aveva lasciato Pettorazza Grimani, paesino di mille anime in provincia di Rovigo, con destinazio­ne Palermo, nei primi anni Ottanta, quelli della mattanza di mafia. Fu ucciso dalle raffiche di kalashniko­v mentre stava scortando a Trapani uno dei più potenti boss mafiosi catanesi.

Il loro nomi, nomi di veneti, assieme agli altri mille e sette delle vittime di tutte le mafie di questo paese malato, sono stati scanditi ieri in Prato della Valle a Padova davanti a cinquantam­ila cittadini dell’italia che non s’arrende e che testimonia con la presenza. Scanditi uno per uno. Una staffetta di un’ora con la voce dei parenti delle vittime, di magistrati, preti, studenti sindaci, prefetti, politici, forze dell’ordine. Non solo Falcone e Borsellino, la cui morte coincise con l’inizio della vera rivolta contro il cancro che ci portiamo dentro a diverse latitudini. Mille e undici vittime unite dalla sfida della memoria in un paese spesso smemorato.

Il suono dei loro nomi si è alzato in cielo e l’ha riempito. Il cielo dove forse sono. O dove ci piace pensare che siano. Eterei e «ingombrant­i» come chi non va dimenticat­o e sta dalla parte dei giusti mentre spesso nella memoria rimane il mondo malato. I «giusti» li diamo per scontati, il tempo di un film o di un ricordo nelle programmaz­ioni televisive notturne. Conosciamo di più i carnefici. Per questo quei nomi e cognomi hanno bisogno di memoria.

Don Ciotti dice (giustament­e) che le vittime delle mafie devono restare dentro di noi e nella memoria collettiva. E che non necessaria­mente devono finire sulle targhe delle vie. Ma non basta. Al di là della retorica celebrativ­a, pericolosa perché annegata nella confusione della toponomast­ica e della dimentican­za, quei mille e undici nomi dobbiamo prenderli in prestito dal cielo e scriverli tutti nella pietra. Una pietra particolar­e. Una stele. Da alzare proprio lì, in Prato della Valle, luogo dell’incrocio delle diversità e degli amori, della spirituali­tà delle chiese che la attorniano e della laicità di chi questo posto l’ha eletto a luogo d’incontro.

Padova capitale dell’antimafia non solo per la memoria cristalliz­zata da cinquantam­ila cittadini ma perché è uno dei centri, nel Nordest tutto coinvolto, dove le mafie hanno attecchito di più. Prima silenti e poi evidenti. Negli anni della grande ricchezza e in questi della crisi. Le mafie hanno scelto il Nord perché terra di soldi e capitali. Per riciclarli. Per prendersi le aziende decotte. Per dare credito marcio a chi la sua impresa l’ha vista crollare e ha accettato i soldi sporchi pur di sopravvive­re. Le tre inchieste aperte dalle procure venete nell’ultimo mese parlano da sole.

A Padova c’è il monumento di Libeskind dedicato alle vittime delle Torri Gemelle che ricorda la follia dei crociati islamici che sono (stati?) uno stato negli stati come uno stato è (stata?) la mafia, è la camorra, è la ‘ndrangheta. E ci sono cippi e targhe che ricordano l’altra follia, quella del terrorismo politico. Le vittime del terrorismo rosso, i carabinier­i uccisi da quello nero.

Certo, «la memoria deve abitare dentro di noi». Ma rileggere ogni tanto quei mille e undici nomi delle vittime di tutte le mafie la memoria la può aiutare. E può rafforzare l’energia di un giorno così memorabile. Il sindaco di Padova, Sergio Giordani, che ieri dal palco della piazza dei cinquantam­ila ha scandito alcuni di quei nomi, faccia erigere una stele. In questa grande piazza rivolta verso il cielo come rivolte verso il cielo sono tutte le chiese e lo sguardo civico e spirituale di coloro che alzando gli occhi vedono e ricordano molto di più di chi non li alza mai.

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