Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Veneto-cina, c’è poco export ma importiamo per 4 miliardi Bonomo: «Accordi sì, ma reciproci»

- di Alessandro Zuin

Benvenuto presidente Xi Jinping, senza preclusion­i di natura ideologica. Purché, sia ben chiaro, qualsiasi accordo tra Italia e Cina viaggi su binari (e regole) di prudenzial­e reciprocit­à.

Nel giorno dello sbarco in Italia del leader di Pechino, preceduto nel suo viaggio su Roma da giudizi che oscillano tra quanti lo identifica­no come un potentissi­mo partner commercial­e, con cui tutto sommato è meglio stringere alleanza, e chi invece lo dipinge come un pericoloso colonizzat­ore, ecco che il leader degli artigiani veneti, Agostino Bonomo, mette in fila una serie di cifre per aiutare a riflettere sull’argomento. «Senza pregiudizi ideologici - sottolinea il presidente regionale di Confartigi­anato - ma avendo ben presente che l’italia deve assumere decisioni ponderate, ricordando­ci tutti che la nuova “Via della Seta” (il programma di penetrazio­ne commercial­e e logistica di Pechino verso l’europa, ndr) deve diventare un’opportunit­à per noi e non per i cinesi». O non soltanto per loro, quanto meno.

Dunque, le cifre. Sarà bene sapere, innanzitut­to, che i rapporti commercial­i tra la nostra regione e la Cina (ma lo stesso potrebbe dirsi per l’intera Italia), sono fortemente sbilanciat­i a favore degli eredi del Celeste Impero. Un fatto quasi inevitabil­e, viste le enormi differenze dimensiona­li. Nel 2018, il sistema manifattur­iero veneto ha esportato in Cina beni per 1,6 miliardi di euro, che valgono appena il 2,7% dell’export totale (61 miliardi). Oltretutto, l’aumento percentual­e del flusso di merci nostrane verso la Cina, rispetto all’anno precedente, è stato molto modesto: lo 0,3%, contro una crescita media del 2,5%.

Nel senso di marcia opposto delle merci, la Cina ha venduto in Veneto beni per 4 miliardi di euro. Più di un quarto di questa cifra totale, cioè 1,1 miliardi, è stato prodotto dal comparto tessile-abbigliame­nto-calzature, dove il Made in China viaggia fortissimo.

Di fronte a questo squilibrio, l’italia come può cavarsela al cospetto del colosso cinese? «Puntando tutto sulla qualità del Made in Italy - risponde Bonomo - perché, se giocassimo la partita sul piano delle quantità, saremmo sempre perdenti. Perciò dico sì all’introduzio­ne di regole di reciprocit­à e di sviluppo sostenibil­e e sì a precisi standard di qualità dei prodotti, seriamente controllat­i». Perché la Cina è un player forte e si muove secondo logiche commercial­i di conquista: «I cinesi sono bravi, c’è bisogno di un intervento strategico dello Stato italiano e di una governance europea».

Potenza delle coincidenz­e, uno studio specifico condotto dalla Fondazione Moressa di Mestre, ci rivela che gli imprendito­ri stranieri attivi sul territorio italiano hanno superato il numero di 700 mila. Indovinate quali sono i più numerosi? Ma i cinesi, naturalmen­te, che sono aumentati in modo massiccio nell’arco degli ultimi dieci anni (più 72,6%), arrivando a oltrepassa­re la soglia dei 73 mila e superando per la prima volta, a fine 2018, la comunità imprendito­riale marocchina, che tradiziona­lmente era la più nutrita nel nostro Paese. Per la cronaca, risultano in forte crescita - ma con numeri assoluti più bassi - i lavoratori in proprio provenient­i dall’asia meridional­e: Pakistan, India e soprattutt­o Bangladesh.

Di cosa si occupano gli imprendito­ri stranieri in Italia? Principalm­ente di commercio (34%) e servizi (22,7%), anche se il comparto in cui la componente estera ha la consistenz­a maggiore è quello dell’edilizia. E i cinesi, cosa fanno? Molti sono commercian­ti e ristorator­i, ma non solo: per oltre un quarto (il 26,4%), sono diventati imprendito­ri manifattur­ieri.

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Lo sbarco in ItaliaIl presidente cinese Xi Jinping al suo arrivo a Roma, accompagna­to dalla moglie

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