Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Veneto-cina, c’è poco export ma importiamo per 4 miliardi Bonomo: «Accordi sì, ma reciproci»
Benvenuto presidente Xi Jinping, senza preclusioni di natura ideologica. Purché, sia ben chiaro, qualsiasi accordo tra Italia e Cina viaggi su binari (e regole) di prudenziale reciprocità.
Nel giorno dello sbarco in Italia del leader di Pechino, preceduto nel suo viaggio su Roma da giudizi che oscillano tra quanti lo identificano come un potentissimo partner commerciale, con cui tutto sommato è meglio stringere alleanza, e chi invece lo dipinge come un pericoloso colonizzatore, ecco che il leader degli artigiani veneti, Agostino Bonomo, mette in fila una serie di cifre per aiutare a riflettere sull’argomento. «Senza pregiudizi ideologici - sottolinea il presidente regionale di Confartigianato - ma avendo ben presente che l’italia deve assumere decisioni ponderate, ricordandoci tutti che la nuova “Via della Seta” (il programma di penetrazione commerciale e logistica di Pechino verso l’europa, ndr) deve diventare un’opportunità per noi e non per i cinesi». O non soltanto per loro, quanto meno.
Dunque, le cifre. Sarà bene sapere, innanzitutto, che i rapporti commerciali tra la nostra regione e la Cina (ma lo stesso potrebbe dirsi per l’intera Italia), sono fortemente sbilanciati a favore degli eredi del Celeste Impero. Un fatto quasi inevitabile, viste le enormi differenze dimensionali. Nel 2018, il sistema manifatturiero veneto ha esportato in Cina beni per 1,6 miliardi di euro, che valgono appena il 2,7% dell’export totale (61 miliardi). Oltretutto, l’aumento percentuale del flusso di merci nostrane verso la Cina, rispetto all’anno precedente, è stato molto modesto: lo 0,3%, contro una crescita media del 2,5%.
Nel senso di marcia opposto delle merci, la Cina ha venduto in Veneto beni per 4 miliardi di euro. Più di un quarto di questa cifra totale, cioè 1,1 miliardi, è stato prodotto dal comparto tessile-abbigliamento-calzature, dove il Made in China viaggia fortissimo.
Di fronte a questo squilibrio, l’italia come può cavarsela al cospetto del colosso cinese? «Puntando tutto sulla qualità del Made in Italy - risponde Bonomo - perché, se giocassimo la partita sul piano delle quantità, saremmo sempre perdenti. Perciò dico sì all’introduzione di regole di reciprocità e di sviluppo sostenibile e sì a precisi standard di qualità dei prodotti, seriamente controllati». Perché la Cina è un player forte e si muove secondo logiche commerciali di conquista: «I cinesi sono bravi, c’è bisogno di un intervento strategico dello Stato italiano e di una governance europea».
Potenza delle coincidenze, uno studio specifico condotto dalla Fondazione Moressa di Mestre, ci rivela che gli imprenditori stranieri attivi sul territorio italiano hanno superato il numero di 700 mila. Indovinate quali sono i più numerosi? Ma i cinesi, naturalmente, che sono aumentati in modo massiccio nell’arco degli ultimi dieci anni (più 72,6%), arrivando a oltrepassare la soglia dei 73 mila e superando per la prima volta, a fine 2018, la comunità imprenditoriale marocchina, che tradizionalmente era la più nutrita nel nostro Paese. Per la cronaca, risultano in forte crescita - ma con numeri assoluti più bassi - i lavoratori in proprio provenienti dall’asia meridionale: Pakistan, India e soprattutto Bangladesh.
Di cosa si occupano gli imprenditori stranieri in Italia? Principalmente di commercio (34%) e servizi (22,7%), anche se il comparto in cui la componente estera ha la consistenza maggiore è quello dell’edilizia. E i cinesi, cosa fanno? Molti sono commercianti e ristoratori, ma non solo: per oltre un quarto (il 26,4%), sono diventati imprenditori manifatturieri.