Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Cera, il libero dell’azteca: «Ma l’impresa fu lo scudo con Scopigno»

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ma per mio padre, direttore della Mutua Popolare, il calcio non era nemmeno un modo per guadagnars­i il pane».

Magari avrà cambiato idea quando esordito in serie A, a soli 17 anni...

«Mica tanto... Una domenica vengo espulso e il tutto finisce sul giornale. Il lunedì mi convoca in banca e mi apre il giornale in faccia: quella cosa per lui aveva screditato il buon nome della famiglia, pretendeva che chiedessi scusa e smettessi con il calcio. Per fortuna poi si è ammorbidit­o un po’».

Come è arrivato al Cagliari?

«Per caso. A Verona avevo i miei affetti, mi volevano una decina di squadre ma in quegli anni il Cagliari riceveva grosse sovvenzion­i dal Credito Industrial­e, aveva buone possibilit­à economiche e la spuntò su tutti. Alla fine ci sono stato dieci anni, ho fatto il capitano e ho vinto lo scudetto. Anni bellissimi, non dimentiche­rò mai l’amore e il calore della gente sarda per la squadra».

Riva, Albertosi, Domenghini, Gori, Nenè... Insomma, non uno squadrone ma quasi. Fu una sorpresa quello scudetto?

«Comunque sì, secondo me potevamo vincerlo anche nella stagione prima, giocavamo pure meglio. Eravamo primi alla fine del girone di andata, poi ci siamo persi».

Figura da romanzo Manlio Scopigno, l’allenatore: uno dei grandissim­i del tempo, il filosofo del pallone...

«Un grande, Scopa... Sempre tranquillo, sapeva sdrammatiz­zare qualsiasi situazione, non alzava mai la voce e parlava poco. Grande ironia e grande cultura al servizio del calcio».

Ma è vero che quando la trasformò per necessità da mediano a libero le disse che la marcatura più stretta andava fatta sul vostro stopper Niccolai?

«È vero sì... Niccolai, che io chiamavo con affetto Agonia, era un lei ha buon difensore ma aveva il difetto di centrare la nostra porta ogni tanto... Peccato che sia passato alla storia per quello, perché era un bel giocatore, si esaltava con i migliori».

Possiamo dire che Cera è stato il primo libero moderno?

«Credo di sì, quando Scopigno mi propose il cambio di ruolo dopo l’infortunio di Tomassini fui chiaro: va bene, dissi, ma lo faccio a modo mio. Certo non mi metto a stare dietro e spazzare la palla, non fa per me».

E Scopigno?

«Disse che per lui andava bene».

Cera, e la stanza del fumo di Asiago? «Stavamo in ritiro, in dieci nella mia stanza: tutti fumavano, si giocava a carte e c’era qualche bottiglia “sospetta”... Scopigno entra, si fa largo nella nebbia, si accende a sua volta una sigaretta e fa: “disturbo, se fumo?”. Tutto qui, niente urla, niente strepiti. E dopo mezzora eravamo a nanna».

Cera, veniamo alla Nazionale: quel 4-3 del 16 giugno 1970, Italia-germania. Lei fu tra i protagonis­ti per i 120 minuti: è d’accordo con la definizion­e di «partita del secolo»?

«Ma per niente... Fino al 90’ è stata una partitacci­a eh, sia chiaro, il bel calcio è tutta un’altra

La stanza del fumo

Ritiro a Asiago con il Cagliari, in dieci in una stanza a fumare e giocare a carte nella nebbia: entra Scopigno, ci guarda uno per uno, si accende una sigaretta e fa: «Disturbo se fumo?»

cosa. Possiamo parlare al massimo di supplement­ari del secolo, questo sì».

E la finale con il Brasile? Avete pagato la fatica di aver dovuto giocare due ore?

«Secondo me, no. Si giocava a 2.500 metri di altitudine, aria rarefatta. Il nostro gioco era tutto palla lunga e correre in fascia, il Brasile giocava corto, tocchi veloci e scambi. E comunque era una squadra fortissima».

Il 4-1 sembra parlare chiaro...

«Non tanto, abbiamo preso un paio di gol da polli, soprattutt­o quello di Carlos Alberto. E comunque fino al gol di Gerson, cioè quasi al 70’, eravamo ancora 1-1».

Lei ha chiuso a Cesena, ancora da capitano dopo Verona e Cagliari: un destino?

«Magari era per il mio carattere, tranquillo ma deciso. Ho chiuso nel 1979 e poi ho fatto il ds. Ci siamo tolti belle soddisfazi­oni, ho lanciato giocatori come Agostini, Rizzitelli, Comandini... Poi basta, mi sono stancato e ho chiuso senza rimpianti».

E adesso?

«Faccio il nonno e mi godo la vita»

Il calcio lo segue ancora volentieri? «Certo, allo stadio ci vado poco ma in tv mi piace seguire un po’ tutto. Vedere per l’ottavo anno di fila vincere la Juve toglie un po’ di pathos, chiaro, però è vero che chi vince ha sempre ragione».

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