Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Giallo di Enego, 14 anni a caccia dell’assassino

I corpi di due anziani massacrati a sprangate, la finta rapina, il Dna preso all’intero paese Ma il killer è fuggito (anche grazie alla neve)

- Di Andrea Priante

Lui ex sindaco, lei già maestra del paese. Il giallo, a Enego, di un efferato duplice omicidio.

Quella sera, una volta entrato nella casa, sono sceso attraverso la scala esterna che conduce alla lavanderia e a un terrazzino

È lì che li ho visti, riversi a terra in una pozza di sangue

L’inverno era arrivato in anticipo. Nonostante fosse stato un giovedì soleggiato, l’aria era gelida e nelle notti precedenti le doline dell’altopiano di Asiago s’erano ricoperte di un sottile strato di neve.

Via Coste di Qua, a Enego, è un po’ fuori dalle stradine battute dai turisti: un quartiere tranquillo, fatto di casette con i tetti appuntiti, gli infissi in legno e i terrazzi che d’estate si colorano di gerani. E tutt’intorno, boschi e prati. Lì abitavano Domenico Miola e sua moglie Angela Valle. Lei, 79 anni, era stata la maestra del paese. Lui, 83enne, ne era stato il sindaco. Tre domeniche prima avevano festeggiat­o i cinquant’anni di matrimonio circondati dai cinque figli e da una pletora di amici e nipotini. «Il telefono ha suonato intorno alle 21.30», ricorda Claudio Guzzo, che abitava accanto ai Miola. «Era Sira, una delle figlie di Domenico e Angela. Disse che non riusciva a contattare i genitori e ci chiese la cortesia di dare un’occhiata

in casa». Il vicino uscì e poco dopo lo raggiunse il cugino Giacomo Guzzo, morto un paio d’anni fa. All’epoca la raccontò così: «Siamo entrati insieme ma, mentre Claudio è salito al piano di sopra, io sono sceso attraverso la scala esterna che conduce alla lavanderia e a un terrazzino. È lì che li ho visti, riversi a terra in una pozza di sangue».

Era la sera del 17 novembre del 2005 quando furono scoperti i corpi senza vita dell’ex sindaco e della maestra. Le teste martoriate di colpi (almeno una ventina, quelli rilevati dall’autopsia) inferti con un tubo di metallo ritrovato poco distante, di quelli che si usano per delimitare i cantieri. E questa, a quattordic­i anni di distanza, è rimasta l’unica certezza.

Il resto della storia è soltanto buio, sospetti, piste investigat­ive durate il tempo di una stagione, come la neve che continuò a cadere anche nei giorni successivi al delitto, cancelland­o le impronte dell’assassino che fuggì attraverso i boschi. Un dettaglio importante: significa che conosceva i sentieri e, probabilme­nte, anche le sue vittime.

Eppure il killer non è mai stato scoperto e neppure il movente che l’ha spinto a infierire sui due anziani. Soldi, si ipotizzò: ammazzata la donna, avrebbe atteso l’ex sindaco per colpirlo e poi entrare in casa per rubare poche decine di euro dal portafogli dell’uomo. «Ma dopo aver commesso un duplice delitto, nessun criminale perderebbe tempo per prendere qualche spicciolo», confida oggi un investigat­ore che si occupò del caso. «Ho sempre pensato che quella della “rapina finita nel sangue” fosse solo una messinscen­a. Credo che il colpevole nutrisse un livore personale nei confronti di quei poveri anziani e che entrò in casa, in realtà, non per i soldi ma per far sparire qualcosa». Nessuno però ha mai scoperto cosa cercasse.

«Non credo si possa ancora risolvere il caso e arrivare al responsabi­le» ha ammesso uno dei figli, Flavio Miola. Era il 2015, e parlava a dieci anni esatti dalla mattanza. «Noi non ci siamo mai accaniti per arrivare a delle risposte ma, certo, siamo delusi dal fatto di non averle ottenute».

Un crimine così efferato, in quello scenario da cartolina non s’era mai visto. Per il paese fu uno choc mai superato del tutto. Anche per questo, i carabinier­i del nucleo investigat­ivo di Vicenza misero in atto una caccia all’uomo senza precedenti. Le provarono tutte per acciuffare il responsabi­le, arrivando a raccoglier­e il Dna e le impronte digitali di tutti i residenti maschi: in Italia non era mai stato tentato nulla del genere. Ma neppure la mappatura genetica della gente di montagna restituì quel maledetto nome: non fu trovata alcuna corrispond­enza con le tracce raccolte dalla Scientific­a sull’arma e sulla scena del delitto.

Resta che, di tanto in tanto, nel registro degli indagati c’è finito qualcuno. Il primo fu un ragazzotto con problemi psichici che, vista la sua passione per le lunghe camminate, venne soprannomi­nato «il Forrest Gump dell’altopiano». Il giorno successivo al delitto, un poliziotto se lo ritrovò davanti con gli abiti imbrattati di sangue. Venne interrogat­o per ore, diede delle risposte un po’ sconclusio­nate ma alla fine si scoprì che aveva un alibi di ferro e quelle ferite se le era procurate radendosi.

Dopo Forrest Gump toccò al grande sospettato: Alberto Dalla Costa, un muratore quarantenn­e che abitava a cento metri dalla villetta dei Miola. Per diciotto mesi i carabinier­i gli stettero con il fiato sul collo, nella convinzion­e che l’assassino fosse lui. Si sbagliavan­o.

Per ultimo, nel mirino finì un imbianchin­o della zona che aveva svolto dei lavori nell’abitazione del massacro. La sua impronta fu trovata sul cassetto di un mobile. Ma anche quella pista si rivelò un abbaglio.

«Ho pagato quei sospetti con due infarti», ha raccontato qualche tempo fa Dalla Costa. Perché da una storiaccia così, dai corpi devastati di due vecchietti perbene, non se ne esce. È come se le assi di legno sul terrazzino dell’orrore, assieme al sangue delle vittime avessero assorbito pure le vite dei testimoni dell’epoca. «È impossibil­e dimenticar­e», ammette Claudio Guzzo.

«Facemmo tutto ciò che andava fatto», allarga le braccia l’investigat­ore. Ancora oggi confida al Corriere del Veneto - non si dà pace. «Il delitto perfetto non esiste e il killer non era un genio del male: fu solo fortunato».

In procura a Vicenza, l’inchiesta del pm Giovanni Parolin è formalment­e archiviata ma, come sempre nei casi di omicidio, basterebbe una qualunque novità - una «soffiata» o qualche traccia inedita - per far riaprire il fascicolo. Intanto, ammesso sia ancora vivo, c’è un assassino che se la ride, libero. O forse no. «Oggi più che mai - ha detto di recente Sira, la figlia di Domenico e Angela - sono convinta che quell’individuo sia perseguita­to dai sensi di colpa, ristretto nel carcere del proprio rimorso». E almeno da se stesso, non può sfuggire.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Il delitto dell’altopiano
In alto, i carabinier­i di fronte all’abitazione del delitto, in via Coste di Quà a Enego, sull’altopiano di Asiago: il delitto avvenne il 17 settembre del 2005. A sinistra, i rilievi dei carabinier­i all’interno della casa e, qui sopra, le due vittime: Domenico Miola, 83 anni, e Angela Valle, 79. Lui era stato sindaco del paese, lei era una maestra in pensione
Il delitto dell’altopiano In alto, i carabinier­i di fronte all’abitazione del delitto, in via Coste di Quà a Enego, sull’altopiano di Asiago: il delitto avvenne il 17 settembre del 2005. A sinistra, i rilievi dei carabinier­i all’interno della casa e, qui sopra, le due vittime: Domenico Miola, 83 anni, e Angela Valle, 79. Lui era stato sindaco del paese, lei era una maestra in pensione

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy