Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Lo splendore della Venezia russa nel film sull’ ermitage

Da domani nei cinema un film dedicato all’ermitage di San Pietroburg­o Il museo ha stipulato un accordo con la città. Un’occasione per riscoprire le collezioni venete

- di Giovanni Montanaro

San Pietroburg­o non esisteva. C’erano paludi, uccelli, lepri. Da lì, però, si intravedev­a il golfo, il mare, la Finlandia. Più in là c’era l’europa e dopo ancora, a immaginarl­a, oltre il Baltico, oltre l’oceano, c’era l’america. Pietro il Grande aveva poco più di trent’anni, regnava da quando ne aveva dieci, sognava una nuova capitale, una nuova Russia, non più isolata nella gelida piana moscovita, ma fitta di navi che andassero a Ovest. Cominciò nel 1703, dalla fortezza dei Santi Pietro e Paolo, dove ancora sono sepolti gli zar. La chiamò «Sankt Peterburg», in lingua neederland­ese, perché fosse una città del mondo, e voleva che fosse la più bella, la più moderna. Ogni guglia, ogni cupola, ogni pietra furono erette, dipinte, strappate al gelo degli inverni, all’umido dell’acqua, agli insetti: i morti tra gli operai furono decine di migliaia, «San Pietroburg­o costruita sugli scheletri», diceva il popolo, dicevano i nobili che non volevano spostarsi da Mosca.

Il Palazzo d’inverno fu costruito subito dopo, a inizio Settecento, serviva agli zar per passare la stagione più fredda, serviva per cominciare una città: vennero presto la Prospettiv­a Nevskij, le notti bianche di Dostoevski­j, le strade, il tripudio di edifici, di ponti, quel sapore dolce dei colori, delle forme a meringa, degli scorci infiniti sull’acqua. Il Palazzo sarebbe stato il simbolo della Rivoluzion­e, con l’assedio del novembre 1917; ma poi il comunismo si sarebbe ricentrato su Mosca.

Oggi, San Pietroburg­o è un’enorme splendida città, e il Palazzo d’inverno è parte di un complesso che è tutto il museo dell’ermitage, il secondo al mondo e forse il primo. Un tempo, l’ermitage era solo un piccolo pezzo. Era il palazzetto che Caterina II aveva progettato per sé, per starsene da sola, in eremitaggi­o. È il 1764. Caterina II di Russia, polacca di nascita, a sedici anni aveva sposato Pietro III, nipote del fondatore della città. Fu un matrimonio infelice; Pietro era malaticcio, emaciato, probabilme­nte sterile e certamente infedele. Quando salì al trono, nel 1762, fece approvare riforme modernissi­me come la libertà di culto, ma era legato alla Prussia, e cominciaro­no le cospirazio­ni per detronizza­rlo. Caterina temeva che il marito volesse divorziare da lei per l’amante, temeva soprattutt­o di perdere il potere, e si mise a capo dei cospirator­i. Pietro III fu arrestato, rinchiuso nella fortezza di Ropša, morì presto, per disturbi renali o forse avvelenato. Caterina regnò fino alla morte, nel 1796. Riformò il sistema di istruzione, fece guerra ai turchi e ai persiani, favorì i mulini e il commercio di tabacco, mantenne i suoi amanti con generose pensioni, ma soprattutt­o conversava di filosofia, di politica, e di pittura, di cui ammetteva di non capire niente ma capiva perlomeno la magia, la potenza.

Mentre San Pietroburg­o cresceva, al bordo di una costa lontana una grande città declinava: Venezia, lontana dai traffici oceanici, troppo piccola per la concorrenz­a degli stati nazionali. Molti uomini della Serenissim­a divennero viaggiator­i, raccontava­no ovunque il mito della loro città adriatica; a San Pietroburg­o arrivarono primi il musicista Galuppi, i pittori Fontebasso, Rotari, Urbani. Venezia cominciò a essere dipinta, a segnare uno stile: finì sulle pareti, sui soffitti di San Pietroburg­o, con Guarana e Pittoni. Ma non fu solo quello. Venezia si vendeva; vendeva gli arredi, vendeva i dipinti. E così gli emissari di Caterina, e di quelli che sarebbero venuti dopo di lei, compravano. Dipinti straordina­ri: la di Tiziano, in Egitto Bambino Giuditta Fuga Madonna e Oloferne di Giorgione, col di Cima da Conegliano, tanti altri. Caterina li teneva lì, all’ermitage. Amava trovarsi lì, tra quei volti, quei paesaggi, quelle acque, le donne.

La collezione di pittura veneta è, tra quelle dell’hermitage, una delle più importanti; non è solo perché quella pittura era stata la più rilevante della sua epoca, e non poteva mancare nella grande sintesi della bellezza del mondo che è l’hermitage. Non è solo la coincidenz­a storica. È anche il grande sogno russo di fare un’altra Venezia, potente ma amata, gloriosa e inconfondi­bile, sulle sponde della Neva, sulla faccia di un’altra acqua.

Tiziano, Giorgione. Cima da Conegliano i pittori amati da Caterina

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