Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il declino di Faccia d’angelo «Ma le accuse sono false»

La difesa: «Non la maltrattav­o, ero io a volerla lasciare». Liti legate a questioni economiche

- Di Andrea Priante

«Non è vero: la nostra famiglia non era l’inferno». Così, dal carcere di Bergamo dove è rinchiuso, Felice Maniero replica alle accuse di maltrattam­enti che gli rivolge la compagna con la quale viveva a Brescia. Dopo gli anni da ricco criminale, ora le difficoltà economiche.

«Se non fossi chi sono, probabilme­nte ora non mi troverei in carcere...».

La parte della vittima non si è mai adattata al sorriso furbetto di Felice Maniero. Nè quand’era il più potente (e feroce) criminale del Veneto, né tantomeno adesso che la sua compagna lo accusa di averla costretta a vivere in un inferno fatto di botte e umiliazion­i. Eppure lui ripete di sentirsi un perseguita­to.

Ieri mattina ha ricevuto la visita del suo difensore, l’avvocato Luca Broli, nel carcere di Bergamo, dove è stato trasferito perché lì esiste una sezione protetta: è considerat­o un «obiettivo sensibile» anche a 24 anni dall’inizio della sua collaboraz­ione con lo Stato, che portò in carcere i suoi ex-compari della Mala del Brenta.

«Vede avvocato, è come quando c’è il cane da pastore che protegge il gregge. Se viene a mancare, il gregge è scoperto, capisce?», ha confidato. Maniero sa di essersi scoperto troppo. E ora ammette di avere «un po’ di paura», di temere per l’incolumità dei suoi cari. Anche perché «ho chiuso ogni legame con tutti coloro che mi erano vicini in passato, ma so benissimo cosa la gente pensa di me, e che continuerà a vedermi per quello che ero». Soprattutt­o è preoccupat­o per le sorti della figlia più giovane, che ha 18 anni e che, presa nel mezzo della crisi tra i genitori, aveva scelto di restare a vivere con papà. «Mi sono dedicato a lei anima e corpo, le ho fatto da mammo», racconta in carcere.

«Il mio passato me lo merito», si è sentito dire l’avvocato Broli, che ora descrive l’ex boss come «provato, affranto e molto preoccupat­o».

Per arrivare a ricostruir­e gli attuali rapporti con la (ex) compagna, inevitabil­mente Maniero deve prima fare i conti con il passato: «So che me lo porterò sempre appresso, ma ho già pagato per ciò che ho fatto. Sono 25 anni che collaboro con la Giustizia, lavoro e sono “pulito”. Alla mia compagna ho sempre permesso di condivider­e una vita nel lusso, prima di intraprend­ere questo nuovo percorso di vita...».

Lei ha 47 anni, diciotto meno di lui. È rimasta al suo fianco sempre: dagli anni delle fughe rocamboles­che, della droga e delle rapine, a quelle del «pentimento» e del programma di protezione che ha costretto Maniero a dire addio a tutto, perfino al suo vero nome. Gli inquirenti l’hanno sentita nei giorni scorsi, e ha confermato le accuse. Anche la figlia è stata convocata: le è stato chiesto se avesse assistito alle liti violente dei genitori e una cosa ha tenuto a chiarire subito: «A me papà non ha mai fatto del male».

Felicetto verrà sentito domani dal giudice. Nel frattempo, continua a negare, arrivando a prendersel­a proprio con la sua ex: «Sono molto deluso dal suo comportame­nto. Ero io ad averle detto, ultimament­e, che per una serie di motivi la nostra relazione non funzionava più, al punto da proporle di entrare in terapia di coppia. Le ho anche detto che forse era il caso che le nostre strade si dividesser­o. Ma era lei a non volersi

” Alla mia compagna ho sempre permesso di condivider­e una vita nel lusso, prima di questo nuovo percorso di vita

staccare da me». I litigi pare fossero collegati al lavoro di consulente (nel settore della purificazi­one dell’acqua) di Maniero: lei avrebbe tenuto la contabilit­à e lui le rimprovera­va alcuni errori piuttosto banali. «È vero, ammetto di averla insultata, o che a volte sia volato uno schiaffo, ma non posso accettare il fatto che lei adesso parli di tre anni di maltrattam­enti e d’inferno. Non ho mai fatto tutte quelle cose che lei racconta...».

Fin qui la difesa tracciata ieri assieme al suo avvocato. I litigi si consumavan­o nella casa che avevano preso in affitto a due passi dal centro di Brescia. E a scatenarli era l’unica cosa che Maniero ha sempre dimostrato di amare d’avvero: i schei. Quelli che un tempo arrivavano a palate. E quelli che adesso scarseggia­vano.

Con la nuova identità, all’inizio Faccia d’angelo s’era reinventat­o imprendito­re. La sua Anyaquae vendeva casette dell’acqua ai Comuni italiani, ma era fallita dopo che un’inchiesta di Report ne aveva svelato l’identità del titolare oltre a una serie di irregolari­tà. E così, negli ultimi tempi Maniero si accontenta­va di tirare avanti con qualche consulenza. Ma gli incarichi scarseggia­vano, nonostante avesse cercato di farsi pubblicità in tutti i modi, perfino con i video su Youtube in cui denuncia l’inquinamen­to da microplast­iche e con un sito (www.felicemani­ero.com) dove sostiene di volersi battere per un’acqua più pura. Risultato: la famiglia Maniero versava in difficoltà economiche e risulta non pagasse l’affitto da sette mesi, sufficient­i a rischiare lo sfratto.

” È vero, ammetto di averla insultata, o che a volte sia volato uno schiaffo. Ma non ho mai fatto tutte quelle cose

A dirla tutta, le cose s’erano messe male già da parecchio tempo: quando Maniero si presentò in procura a Venezia per accusare il cognato d’essersi intascato il suo famoso «tesoro», fu anche costretto a rivelare di aver perso 150mila euro a seguito del fallimento di Madoff, in America, ma soprattutt­o che, tra il Natale 2015 e l’epifania, finì ricoverato a Verona per un esauriment­o.

Si fa fatica a immaginare uno come Felicetto senza un soldo e sull’orlo di una crisi di nervi. Lui che girava in Bentley, o passeggiav­a con la compagna (in pelliccia) lungo le vie dello shopping. Lui che negli anni Novanta fu arrestato sul suo yacht al largo di Capri.

Era un re. Già negli anni Ottanta, la banda gestiva il gioco d’azzardo in Veneto, a Modena e in Jugoslavia. Al Casinò di Venezia arrivarono a imporre il pizzo ai «cambisti» che prestano soldi ai giocatori. Soltanto dalle sale, rivelò, «arrivavano 60 milioni di lire ogni mese in contanti, senza fare niente». Fu la droga, però, a portare un fiume di denaro nelle tasche della Mala. E accanto al traffico di cocaina c’era spazio per le rapine: in banca, agli uffici postali. E gli assalti a furgoni portavalor­i. «Poco prima di collaborar­e presi quattro quintali di lingotti d’oro in una banca che serviva gli orafi nel Vicentino», ha raccontato lo scorso anno a Roberto Saviano.

Forse c’è proprio questo all’origine di quegli scoppi d’ira denunciati dalla sua compagna: l’incapacità di accettare il paragone tra passato e presente. L’adrenalina, il lusso, il potere. Per Felice Maniero, era tutto finito.

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Insieme Felice Maniero e la compagna in una vecchia fotografia scattata a Venezia

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