Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Consoli «smonta» l’insolvenza: «In Veneto Banca 180 milioni in più»

La difesa in appello: il patrimonio bastava. La procura generale: non ci fu un complotto dell’europa

- Federico Nicoletti

Il patrimonio era positivo per 180 milioni. Risultato: al momento della messa in liquidazio­ne, il 25 giugno 2017, Veneto Banca non era insolvente. È durata un’ora, ieri in Corte d’appello a Venezia, l’ultima udienza del processo civile con cui l’ex amministra­tore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, si era opposto alla sentenza del tribunale di Treviso che aveva dichiarato l’insolvenza, aprendo, sul fronte penale, la possibilit­à di indagarlo anche per bancarotta. Anche per questo lo scontro legale è stato deciso. L’avvocato di Consoli, Sirio D’amanzo, in quaranta minuti, ha tentato di smontare l’insolvenza. E la Procura generale, con Giancarlo Buonocore, ha chiesto invece la conferma del primo grado: «Quale sarebbe la reazione dei cittadini - si è chiesto - se dovesse passare la linea di una congiura europea che ha determinat­o la fine di Veneto Banca, mentre siamo di fronte a due procedimen­ti penali (con quello Bpvi, ndr). La consulenza Caprio ha saturato il legittimo dubbio della corte non colmato da una consulenza in primo grado».

Ora l’attesa si sposta sulla sentenza. E la difesa di Consoli dovrà fare i conti con quanto già deciso nel parallelo appello su Bpvi. Che ha confermato l’insolvenza, con un esplicito riferiment­o alla perizia di Veneto Banca, dando come corretta, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa di Consoli, sia l’uso del prezzo negativo che l’attualizza­zione dei valori.

La perizia affidata dal tribunale a Lorenzo Caprio aveva confermato l’insolvenza lungo quattro scenari. Due che ripercorro­no la liquidazio­ne con Intesa, sia a conti attualizza­ti (cioé arretrando ad oggi il valore degli incassi futuri) che no. Qui la banca è insolvente per 2,2 e 1,7 miliardi; e in entrambi è decisivo il contributo di 2,2 miliardi dello Stato a Intesa, calcolato in riduzione al patrimonio. Gli altri due scenari sono di una liquidazio­ne con vendita di mercato; risultato: insolvenza per 2,1 miliardi a valori attualizza­ti e per 920 milioni senza.

Ma, è la tesi di D’amanzo, i primi due scenari vanno eliminati perché sono ex post: il quadro va valutato prima della strada poi imboccata. E il terzo va cassato perché la legge fallimenta­re blocca gli interessi. Se è buono solo il quarto, lì è decisivo il prezzo negativo di mercato per prendersi Veneto Banca, fissato da Caprio a 1,1 miliardi, comparando le acquisizio­ne di banche in crisi fatte da Bper e Credit Agricole.

Banche vere, però, con dentro rischi e crediti deteriorat­i. «Qui invece c’è solo una good bank, con crediti in bonis e relativi interessi, commission­i e clienti, che Intesa s’è ritagliata prendendo tutto ciò che è bellissimo. Siamo quasi a un’operazione usuraria», ha sostenuto D’amanzo, estremizza­ndo il concetto. «Ma se è così il prezzo negativo va escluso». Se poi invece lo si consideri come il capitale di funzioname­nto di quanto acquisito, questo non è intaccato da componenti del tutto in bonis. Se invece è il prezzo da pagare ai guadagni non adeguati del capitale investito nelle banche, «è solo la differenza tra remunerazi­one attesa e reale; che non vuol dire regalare l’intero capitale».

Dunque il valore è più basso, anche se non determinat­o. E il patrimonio di Veneto Banca riuscirebb­e a reggerlo? Sì per D’amanzo, perché ai 180 milioni di capitale rimasti si aggiunge una rivalutazi­one dei crediti deteriorat­i per 780 milioni, troppo svalutati da Caprio, che invece vanno valorizzat­i sulla base del bilancio del primo trimestre 2017. E con quel miliardo in più il problema si supera.

Si vedrà quanto il tribunale presieduto da Guido Santoro accoglierà questa linea. Di sicuro più agevole la situazione di Lorenzo Stanghelli­ni, il difensore dell’ultimo cda di Atlante guidato da Massimo Lanza, rimessosi alla decisione della corte. Così com’è costruita l’insolvenza esclude responsabi­lità dell’ultimo cda. «Il loro è stato un ruolo di commissari straordina­ri di fatto, che, in collegamen­to con le autorità europee, hanno rappresent­ato in modo corretto i numeri della banca e sgravato il sistema giudiziari­o, con l’offerta di transazion­e, di 54 mila possibili procedimen­ti risarcitor­i. Dire che la ricapitali­zzazione precauzion­ale sia stata una congiura delle autorità europee non è corretto. Ma che Intesa abbia fatto uno straordina­rio affare, a bassa o ad alta voce, lo dicono tutti».

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Manager Vincenzo Consoli

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