Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Consoli «smonta» l’insolvenza: «In Veneto Banca 180 milioni in più»
La difesa in appello: il patrimonio bastava. La procura generale: non ci fu un complotto dell’europa
Il patrimonio era positivo per 180 milioni. Risultato: al momento della messa in liquidazione, il 25 giugno 2017, Veneto Banca non era insolvente. È durata un’ora, ieri in Corte d’appello a Venezia, l’ultima udienza del processo civile con cui l’ex amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, si era opposto alla sentenza del tribunale di Treviso che aveva dichiarato l’insolvenza, aprendo, sul fronte penale, la possibilità di indagarlo anche per bancarotta. Anche per questo lo scontro legale è stato deciso. L’avvocato di Consoli, Sirio D’amanzo, in quaranta minuti, ha tentato di smontare l’insolvenza. E la Procura generale, con Giancarlo Buonocore, ha chiesto invece la conferma del primo grado: «Quale sarebbe la reazione dei cittadini - si è chiesto - se dovesse passare la linea di una congiura europea che ha determinato la fine di Veneto Banca, mentre siamo di fronte a due procedimenti penali (con quello Bpvi, ndr). La consulenza Caprio ha saturato il legittimo dubbio della corte non colmato da una consulenza in primo grado».
Ora l’attesa si sposta sulla sentenza. E la difesa di Consoli dovrà fare i conti con quanto già deciso nel parallelo appello su Bpvi. Che ha confermato l’insolvenza, con un esplicito riferimento alla perizia di Veneto Banca, dando come corretta, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa di Consoli, sia l’uso del prezzo negativo che l’attualizzazione dei valori.
La perizia affidata dal tribunale a Lorenzo Caprio aveva confermato l’insolvenza lungo quattro scenari. Due che ripercorrono la liquidazione con Intesa, sia a conti attualizzati (cioé arretrando ad oggi il valore degli incassi futuri) che no. Qui la banca è insolvente per 2,2 e 1,7 miliardi; e in entrambi è decisivo il contributo di 2,2 miliardi dello Stato a Intesa, calcolato in riduzione al patrimonio. Gli altri due scenari sono di una liquidazione con vendita di mercato; risultato: insolvenza per 2,1 miliardi a valori attualizzati e per 920 milioni senza.
Ma, è la tesi di D’amanzo, i primi due scenari vanno eliminati perché sono ex post: il quadro va valutato prima della strada poi imboccata. E il terzo va cassato perché la legge fallimentare blocca gli interessi. Se è buono solo il quarto, lì è decisivo il prezzo negativo di mercato per prendersi Veneto Banca, fissato da Caprio a 1,1 miliardi, comparando le acquisizione di banche in crisi fatte da Bper e Credit Agricole.
Banche vere, però, con dentro rischi e crediti deteriorati. «Qui invece c’è solo una good bank, con crediti in bonis e relativi interessi, commissioni e clienti, che Intesa s’è ritagliata prendendo tutto ciò che è bellissimo. Siamo quasi a un’operazione usuraria», ha sostenuto D’amanzo, estremizzando il concetto. «Ma se è così il prezzo negativo va escluso». Se poi invece lo si consideri come il capitale di funzionamento di quanto acquisito, questo non è intaccato da componenti del tutto in bonis. Se invece è il prezzo da pagare ai guadagni non adeguati del capitale investito nelle banche, «è solo la differenza tra remunerazione attesa e reale; che non vuol dire regalare l’intero capitale».
Dunque il valore è più basso, anche se non determinato. E il patrimonio di Veneto Banca riuscirebbe a reggerlo? Sì per D’amanzo, perché ai 180 milioni di capitale rimasti si aggiunge una rivalutazione dei crediti deteriorati per 780 milioni, troppo svalutati da Caprio, che invece vanno valorizzati sulla base del bilancio del primo trimestre 2017. E con quel miliardo in più il problema si supera.
Si vedrà quanto il tribunale presieduto da Guido Santoro accoglierà questa linea. Di sicuro più agevole la situazione di Lorenzo Stanghellini, il difensore dell’ultimo cda di Atlante guidato da Massimo Lanza, rimessosi alla decisione della corte. Così com’è costruita l’insolvenza esclude responsabilità dell’ultimo cda. «Il loro è stato un ruolo di commissari straordinari di fatto, che, in collegamento con le autorità europee, hanno rappresentato in modo corretto i numeri della banca e sgravato il sistema giudiziario, con l’offerta di transazione, di 54 mila possibili procedimenti risarcitori. Dire che la ricapitalizzazione precauzionale sia stata una congiura delle autorità europee non è corretto. Ma che Intesa abbia fatto uno straordinario affare, a bassa o ad alta voce, lo dicono tutti».