Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Perché bisogna fare i conti con la morte

- Vittorio Filippi

Questo spiega tutto l’intenso dibattito odierno sul fine vita e sulle numerose e delicate questioni etiche che solleva. Il terzo motivo è invece tecnologic­o e rimanda alla rete. E’ stato detto che sempre più avremo tra noi degli «spettri digitali». Non più gli spettri fantastici di un certo filone horror, ma gli abitanti virtuali di quel grande cimitero che è Facebook e più in generale il mondo dei social. Già oggi Facebook, con i suoi due miliardi di attivi al mese, conserva oltre cinquanta milioni di utenti deceduti e a fine secolo è stato calcolato che il numero di questi ultimi supererà quello degli utenti in vita. La rete quindi sempre più diventa una gigantesca mnemoteca in cui possiamo facilmente (basta uno smartphone) trovare le tracce degli scomparsi (scomparsi dalla vita reale, ma non da quella virtuale) in un infinito cimitero immaterial­e senza lapidi che rivoluzion­a i concetti di immortalit­à, memoria e lutto. Ma l’antidoto alla morte non sarà la medicina o la rete o le teorie transumani­ste. In un romanzo del Nobel portoghese José Saramago, la morte si innamora di un violoncell­ista, della sua bellezza e della bellezza della sua musica. Non lo farà morire, ma si coricherà con lui e – lei che non aveva mai dormito – si rilasserà abbraccian­dolo dolcemente a letto. La morte viene così «addomestic­ata» dalla bellezza e dall’amore; perché solo la bellezza e l’amore permettono di vivere e rivivere nei sentimenti profumati del ricordo e della memoria.

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